Motoclub Leoni di Calabria
		da San Colombano a San Tassello passando per NordKapp... => Viaggi sociali  => Topic started by: panda on 24 September 2012, 12:44:25 PM
		
			
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				riporto questa bella lettura da Qde.....report del giro del mar nero...CAUCASO,EQUILIBRIO INSTABILE
Quando si utilizza la moto per viaggiare, fin da subito, ogni chilometro percorso fa parte del viaggio; ho quindi sempre trovato difficile definire con esattezza, almeno con i canoni convenzionali del “turista”, la meta del viaggio che mi sono riproposto da raggiungere. 
Nei miei viaggi, in qualche circostanza, la meta è stata rappresentata dal luogo più distante da casa, in altre occasioni dal luogo turistico più famoso o presunto tale. 
In questo caso, ho individuato nel passo di Darial in Georgia la meta del mio viaggio. Il passo in questione si trova al termine della cosiddetta Strada Militare Georgiana, ai confini con la Russia, dove esiste un posto di frontiera chiuso ai cittadini non appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti fin dall’agosto del 2008, in conseguenza del breve conflitto armato tra le truppe georgiane da una parte, e i contingenti militari russi rischierati ed intervenuti nelle regioni secessioniste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkazia, dall’altra. 
Attraversare il passo di Darial, avrebbe voluto dire scavalcare la catena montuosa del Grande Caucaso, da qui il nome del viaggio.
Con questa precisa meta in mente, costruirci il viaggio intorno è stata cosa piuttosto immediata; giro antiorario del Mar Nero e conseguente attraversamento di tutti (o quasi) i Paesi che vi si affacciano o che, comunque, fanno parte della regione del Caucaso. Giro rigorosamente antiorario, per essere certo di non tralasciare la visita della Georgia e dell’Armenia, prima di tentare di varcare il passo di Darial. 
Immaginavo poi – fin da subito – che sarebbe stato arduo visitare i restanti Paesi della regione del Caucaso, sia per il limitato tempo a mia disposizione, sia perché sarebbe stato imprudente sotto il punto di vista della sicurezza.
Il Caucaso è una regione “cerniera”, che divide l’Europa dall’Asia. 
Una vasta area dove si affacciano Paesi come la Georgia, l’Armenia, l’Azerbaigian e la Russia ma dove anche si concentrano un numero elevato di repubbliche secessioniste quali le già citate Abkazia e Ossezia del Sud in territorio georgiano (de facto indipendenti e supportate dalla Russia), la repubblica autonoma dell’Agiara sempre in territorio georgiano, il Nagorno-Karabakh questa volta in territorio azero ma autoproclamatosi indipendente ed occupato dalle truppe militari armene, per poi passare ad una miriade di repubbliche più o meno autonome, talvolta con uno status federale particolare (kraj) sotto il controllo della Russia, taluna con dichiarate ambizioni secessioniste (Cecenia), altre – come l’Ossezia – scissa in due all’atto della dissoluzione dell’URSS, con la popolazione appartenente alla stessa etnia ma appunto divisa tra Georgia (Ossezia del Sud) e Russia (Ossezia del Nord, detta anche Alania).
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Da qui, la scelta di affiancare al titolo del viaggio il sottotitolo “l’equilibrio instabile”
			 
			
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				Dal punto di vista burocratico il viaggio è stato piuttosto semplice nella sua organizzazione; per la Georgia il visto d’ingresso non è necessario, per l’Armenia lo si può fare comodamente in frontiera, per il Nagorno il lasciapassare viene rilasciato sia a Yerevan (capitale del’Armenia) sia nella stessa capitale della regione – Stepanakert. 
Per la Russia – dove il visto è obbligatorio prima di entrare nel Paese – questa volta mi sono affidato all’agenzia MTA di Milano (http://www.vistoconsolare.com/), concorrenziali nel prezzo, consegna nei tempi previsti e, soprattutto, rispondono al telefono!
Come noto il Carnet de Passage en Douane non è necessario (per fortuna) mentre la patente internazionale è, di norma, consigliata ma non obbligatoria (io, tuttavia, l’ho sempre con me).
La Carta Verde (almeno quella in mio possesso) copre tutti i Paesi che intendo visitare, tranne la Georgia, dove tuttavia in frontiera – neppure a richiesta – è possibile stipulare una qualsivoglia forma assicurativa, e l’Armenia, dove invece questa deve essere obbligatoriamente stipulata (alla frontiera) ed è valida anche in Nagorno.
Nel corso del 2011 a nessun turista non-CSI è stato consentito il passaggio dalla Georgia alla Russia (e viceversa). In realtà, consultando i forum di ADVrider e Horizonsunlimited, apprendo che qualche moto turista è riuscito nell’intento, trattasi però di una coppia di lituani e di alcuni romeni … qualche nostalgia del passato, qualche parola di russo o addirittura la doppia cittadinanza, li ha forse aiutati. 
Di fatto a nessun “occidentale” è stato consentito il passaggio ed inizio, quindi, seriamente a prendere in considerazione la possibilità di dover fare uso di un traghetto, per poter attraversare il Mar Nero e raggiungere così la Russia.
Tempesto di e-mail le varie società che garantiscono i collegamenti marittimi sul Mar Nero; ottengo pochissime risposte, molti indirizzi e-mail sono addirittura inesistenti … alla fine individuo due possibilità; la tratta Trabzon (TUR) – Sochi (RUS) e quella da Poti (GEO) – Kerch (UA). 
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A parte l’indeterminatezza sui prezzi, sulla effettiva possibilità di trasportare la moto, per non parlare degli orari (questi traghetti, di norma, partono solo quando sono pieni), vengo a sapere che il porto di Sochi in Russia potrebbe essere temporaneamente inagibile (almeno ad un certo tipo di navi) causa lavori di ammodernamento in vista delle Olimpiadi Invernali del 2014, mentre – per la seconda possibilità – il traghetto mi porterebbe in Ucraina e non in Russia, quindi molto più ad ovest di dove voglio recarm
			 
			
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				Sono un po’ amareggiato, non so che decisione prendere; sono tentato ad abortire il viaggio e scegliere un’altra destinazione. I traghetti non mi piacciono molto; fanno perdere tempo, costano e, nel caso in questione, le informazioni a mia disposizione sono scarse e, in qualche circostanza, errate e quindi forvianti.
Decido dunque di pianificare il viaggio lasciandomi aperte tutte le possibilità; all’andata prevedo dunque di passare per Trabzon (TUR) e Poti (GEO) così da acquisire informazioni di prima mano, riguardanti le possibilità di traghettare il Mar Nero, quindi visitare con calma la Georgia, l’Armenia, e il Nagorno, rientrare in Georgia per dirigermi verso passo di Darial e tentare il passaggio. Qualora non vi riuscissi, sulla base delle informazioni acquisite all’andata, prenderei una decisione – navigazione lungo il Mar Nero o rientro via Turchia, magari visitando qualcosa di nuovo.
Dalla approfondita lettura di molti reports, stabilisco il percorso nel dettaglio, specie per quanto riguarda i Monasteri da visitare; ve ne sono tanti, tutti interessanti nonché particolari – sono sicuro di essermene lasciato qualcuno alle spalle.
Visitarli tutti sarebbe stato comunque impossibile; molti di essi si trovano inerpicati sulle montagne, distanti chilometri e chilometri dal centro abitato più vicino, raggiungibili solo a piedi o in macchina (e non certo con la mia moto!). La data della partenza, prevista per il 2 giugno, si avvicina. Il Ministero degli Affari Esteri a Tbilisi in Georgia, da me contattato via e-mail, conferma la chiusura del valico di frontiera con la Russia per i cittadini non-CSI, ma sui forum internazionali si susseguono le conferme che il valico è invece aperto a tutti, sin dalla fine dell’inverno di quest’anno. Boh! Staremo a vedere.
Nel frattempo controllo scrupolosamente la moto, acquisto su internet una coppia di Ohlins usati che faccio revisionare; si dimostreranno essere la scelta giusta per le strade del Caucaso! 
Per le guide mi affido alle ottime Lonely Planet, mentre per le mappe mi rivolgo al sempre gentile Sig. Vanzo della Libreria Vel.
Si parte!
Alla fine, il percorso pianificato, con tutte le sue possibili varianti, risulta essere il seguente:
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				Sabato 2 Giugno 2012
Casa (ITA) - Pirot (SRB)
1036 km.
Tappa di “trasferimento”, temperatura fresca, pioggia forte, a tratti in Slovenia – per la cronaca, sarà  la prima ed unica volta che indosserò la tuta antipioggia durante il viaggio:crazy:
L’autostrada croata è noiosa, come al solito, poco da vedere e da fare … se non guidare. Passaggio di frontiera con la Serbia quasi un proforma, arrivo velocemente a Belgrado e, questa volta, seguendo le indicazioni per Nis, percorro la circonvallazione della capitale serba, che così viene superata in un baleno.
Noto pochissimo traffico. Le aree di sosta e di parcheggio sono infatti deserte ...
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L’autostrada costruita da Milosevic termina a Nis; poco dopo, al bivio che mi porterebbe in Macedonia, tengo la sinistra lungo la E80 direzione la Bulgaria.
L’intenzione è quella di fermarmi per la notte presso lo stesso affittacamere vicino a Bela Palanca (SRB) e che utilizzai nel 2010 per il mio viaggio in Asia Centrale. Arrivo sul posto, ma noto subito che dalle finestre della camera vi sono dei panni stesi – purtroppo l'unica camera è occupata!
La sorridente proprietaria mi riconosce (almeno così mi lascia intendere) e mi liquida con una chiaro “nema problema”, mi spiega quindi di dirigermi verso Pirot (distante pochi chilometri) e fermarmi al primo motel lungo la strada, mima che avrebbe chiamato il proprietario per annunciare il mio arrivo.
Così faccio, arrivo a Pirot e trovo il proprietario ad accogliermi – la porta del garage è addirittura spalancata affinché vi possa parcheggiare subito la moto! Il simpatico signore mi spiega tuttavia che di li a poco vi sarà una festa di compleanno nel locale sottostante il motel, con annessa musica e si scusa quindi per l’eventuale rumore; ci penso un po’ su, ma cambiare sistemazione non mi va proprio (peraltro ho già scaricato la moto!).
In camera, mi incuriosisce l’antenna del televisore old style (altro che digitale terrestre!) …
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… e mi godo un bel tramonto
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Durante la cena (a base di “cevapcici” e “pivo”), vedo arrivare gli invitati alla festa; il più giovane avrà 70 anni; mi sento risollevato, di sicuro questi andranno a letto presto! …. 
Purtroppo, invece, balleranno freneticamente sino alle 3 del mattino, alterneranno balli latino a rock sfrenato e, ovviamente, dormirò poco. Beh! Mi avevano informato.:tongue:
La tappa di oggi:
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				Domenica 3 Giugno 2012
Pirot (SRB) – Bandirma (TUR)
857 km.
Il proprietario, per scusarsi del rumore della notte trascorsa, mi delizia con una abbondante colazione e poi si offre di lustrarmi il parabrezza della moto. Noto che, per l’occasione, tira fuori dal cassetto magico una pelle di daino nuova di pacca!
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Mi immetto lungo la E80, direzione Bulgaria, arrivo al confine in un baleno e le formalità burocratiche sono rapidissime; neanche il tempo di dover pagare la vignetta, le moto ne sono infatti esentate.
Strana sensazione entrando in Bulgaria, di fatto sono nuovamente nell’Unione Europea, ma vista la fatiscenza delle strade – rispetto a quelle serbe – non si direbbe proprio.
La strada non offre un granché, decido dunque di cambiare itinerario e passare per la Grecia. Giunto a Sofia, presa la circonvallazione, mi dirigo quindi a sud lungo la E79.
Poco dopo Studena, la strada inizia a salire per raggiungere i 1000 mt. di altezza; troppo pochi per poter rinfrescare una giornata che mi aspetto essere “bollente”.
Entro in Grecia e neanche me ne accorgo, vabbé che siamo in UE ma non mi pare che Bulgaria e Grecia aderiscano al trattato di Schengen.
Proseguo per Serres (Grecia), da lontano intravedo il mare e le isole Calcidiche, con una delle sue tre propagini, Agion Oros, che si protende verso l’Egeo.
Noto poco traffico (effetto della crisi??), mi immetto nella bella ed economica autostrada e dirigo verso il confine turco di Ipsala, che già conosco per averlo attraversato nel 2008. 
Lungo il fiume Evros, che segna il confine greco-turco, ritrovo la consueta scenetta; militari greci e turchi che a pochi metri di distanza, l’un l’altro, si guardano in cagnesco!
Trovo le pratiche burocratiche per entrare in Turchia notevolmente semplificate rispetto al passato; la targa della moto non mi viene segnata sul passaporto, così pure non mi viene richiesto di apporre una firma sullo stesso per confermare che non avessi “nulla di dichiarare”. 
Appena uscito dalla frontiera vengo avvicinato da una simpatica famigliola che, essendo di domenica, e non sapendo di meglio cosa fare, trovano divertente recarsi alla frontiera ed incontrare turisti che entrano nel Paese.
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Mi dirigo verso sud, verso lo stretto di Dardanelli. Senza raggiungere Ecebat che si trova più a sud, mi fermo quindi a Gelibolu, dove ricordavo esserci dei traghetti; sono fortunato, ne trovo uno pronto a partire di li a poco.
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Il traghetto è uno di quelli privati; parte solo quando è strapieno. Alla fine, a forza di manovre e spinte, riescono a farci stare anche una Opel Astra.
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				Lo stretto è trafficato da numerosi piccoli battelli…
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…ed il mare è di un blu intenso.
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Giungo “dall’altra parte”, e lascio al Garmin la scelta di individuare il tragitto più veloce per portarmi a nord-est, direzione Bandirma. Sbagliato! Mi porterà lungo una stradina di montagna che forse mi avrà fatto risparmiare qualche chilometro, ma sicuramente perdere molto più tempo.
In compenso il panorama merita …
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Nonostante l’altitudine, la temperatura è molto elevata. Mi fermo di continuo per bere, quando sei in moto si suda ma te ne accorgi di meno; le soste al bagno sono quindi inevitabili; fortuna che le insegne sono inequivocabili … 
(http://i50.tinypic.com/iyojl1.jpg) Arrivo a Bandirma e, attirato da alcune BMW targate Grecia parcheggiate nei pressi, trovo un albergo. 
Purtroppo non c’è altro parcheggio per la mia moto e mi tocca lasciarla in mezzo al marciapiede. Ma io, dall’alto della mia camera, la controllo! Se qualcuno tenta di portarla via, gli tiro l’olio bollente!
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L’albergo è di fronte al mare.
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La sera uno squisito kebab non me lo toglie nessuno!
La tappa di oggi:
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				Lunedì 4 Giugno 2012
Bandirma (TUR) – Samsun (TUR)
874 km.
So già che la tappa di oggi non offrirà particolari emozioni. Partenza di buon ora per recuperare il tempo perso; per come avevo pianificato, questa sera dovrei raggiungere Trabzon sulla costa del Mar Nero – ma il caldo incessante mi fa subito desistere dal tentativo.
Mi dirigo verso est lungo una veloce strada statale; giunto all’altezza di Bursa, punto a nord verso Istanbul, che comunque mi lascerò alla mia sinistra.
Terminato di costeggiare la propagine orientale del Mare di Marmara mi immetto nell’autostrada O-4 (E 80) che porta ad Ankara; memore di quello che era successo nel 2010 allorquando, non trovando il modo di come pagare l’autostrada, superai il ponte sul Bosforo e poi percorsi l’autostrada a sbafo, mi riprometto – questa volta – di stare con gli occhi ben aperti.
Arrivo al casello a passo d’uomo, nell’area di sosta che lo precede non c’è nessuno che vende tessere magnetiche o roba simile, i caselli sono sguarniti; ve ne sono di due tipi, uno tipo telepass e un altro, dove passo io, che ritengo sia per coloro i quali hanno una tessera tipo Viacard. E io che faccio?
Ovviamente passo, controllo lo specchietto più volte, nessuno si fa vivo ed allora proseguo diritto.
L’autostrada prosegue noiosa, giunto al bivio per Ankara, esco al casello per restare sulla E 80 direzione est. Anche qui, arrivo al casello a passo d’uomo … deserto! Supero il casello e una sirena suona impazzita, sulla destra c’è un gabbiotto con un tizio seduto fuori intento a parlare al cellulare. 
Mi fermo, gli faccio capire che ho intenzione di pagare il pedaggio … lui con un eloquente gesto mi fa capire che posso andare. Va bene, se lo dici tu! Anche questa volta ho viaggiato in autostrada a sbafo ma, giuro, che ho fatto il possibile per pagare!
Mi trovo a precorrere lo stesso tratto di strada percorso nel 2010 per il viaggio a Samarcanda, ma oggi ci saranno almeno 15 gradi in più; caldo soffocante, spesso mi fermo per una sosta e in una di queste trovo dei bagni iper-tecnologici …
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… con tanto di autolavaggio esterno …
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Superato Merzifon punto a nord lungo la E 95, verso Samsun, che raggiungerò nel tardo pomeriggio.
Ho il mio primo contatto visivo con il Mar Nero, ovviamente è enorme – pare essere un oceano. 
Trovo un buon albergo vista mare e la sera – dopo un ottimo kebab – giro per la città.
Scopro che Samsun è stata il luogo dal quale Mustafa Kermal (poi chiamato anche con l’appellativo di Atatürk, il Padre dei turchi), fondatore e primo presidente della Turchia, alla testa di un movimento popolare di liberazione, ha dato avvio alla campagna militare che portò alla sconfitta di ciò restava dell’Impero Ottomano. 
La tappa di oggi:
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				Martedì 5 Giugno 2012
Samsun (TUR) – Poti (GEO)
609 km.
Parto di buon ora, sperando che il fresco duri almeno per un po’. Non sarà così, purtroppo!
Uscendo da Samsun mi imbatto in una miriade di taxi collettivi (tipo i marshrutka in terra russa) che a colpi di accelerazioni e sterzate da brivido si contendono il potenziale cliente ai lati delle strade. Uno di questi taxi, alla mia sinistra si accorge che poco più avanti, sulla destra, c’è un gruppo di clienti – non ci pensa un attimo mi taglia la strada pericolosamente (per me!) senza guardare – l’indicatore di direzione è l’ultimo dei suoi problemi! 
Se ad un motociclista servono, di norma, quattro occhi, in Asia ne servono sei!
Vabbè, vorrà dire che starò maggiormente attento.:wink:
Finalmente mi immetto sulla strada costiera E70 che mi porterà in Georgia; aspettavo da tempo questo momento. Ricordo infatti di aver gustato particolarmente la strada costiera nel sud.
Purtroppo ne resterò deluso, questa qui è una vera e propria strada statale, che assomiglia più ad una autostrada – due corsie per senso di marcia, spartitraffico ampio che mi consente di intravedere il Mar Nero solo a tratti. 
Peccato!
In compenso, la polizia, correttamente segnala con appositi cartelli e molto in anticipo, la presenza del radar per il controllo velocità. Auto civetta parcheggiate sulla destra contromano (viste negli anni passati), non mi pare di averne incontrate. La multa è quindi scongiurata.
Passo al largo di Trabzon (Trebisonda); contrariamente a quanto avevo preventivato, non mi fermo al porto per chiedere informazioni in merito al traghetto per Sochi (RUS) – qualche giorno prima di partire da casa – sul sito della compagnia di navigazione – erano state pubblicate le date e gli orari di partenza dei traghetti, con i relativi costi.
Arrivo alla frontiera con la Georgia nei pressi di Sarpi, al riguardo avevo sentito voci discordanti circa i tempi di attesa; alla fine me la cavo in meno di 30 minuti. I controlli per entrare sono veloci – la giovane poliziotta al gabbiotto, forse emozionata, si confonde e mi augura un “Welcome to Turkey”:confused:; non gli dico nulla per non mortificarla.
L’architettura dell’edificio che ospita la frontiera georgiana mi ricorda qualcosa, che però mi sfugge…
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				Acquisto un po’ di valuta georgiana (il lari) e cerco di stipulare una assicurazione per la moto; niente da fare – non essendo obbligatoria ... nessuno la vende. Strano, perché ricordo di aver letto su di un report di viaggio (scritto da non ricordo di chi) che sarebbe stato possibile …
Entrando in Georgia a Sarpi, si entra in Agiara, repubblica che gode una particolare autonomia in seno alla Georgia. Che l’Agiara sia autonoma non me ne rendo conto, a parte vedere – ogni tanto – lungo le strade sventolare la particolare bandiera (a strisce bianche e blu alternate, con la bandiera della Georgia nel cantone in alto a destra).
Con la Georgia … iniziano le buche – ma per ora, sono ancora “sopportabili”. Come al solito, di buche se ne trovano molte di più all’interno dei paesi/città che fuori – il limite di velocità da tenere è basso, e non si sente forse il bisogno di ripararle.
Attraverso Batumi (la capitale) e vengo inghiottito dal traffico caotico – ma non c’è problema per l’orientamento; finché mi dirigo a nord ed il mare è alla mia sinistra, tutto bene!
Noto che una mastodontica X5 completamente oscurata (e credo pure blindata) mi sta alle calcagna da qualche chilometro; accelero e lui accelera, rallento e lui rallenta – penso che (come spesso capita) il guidatore o gli occupanti mi stiano riprendendo con il cellulare o con la telecamera … ad un certo punto – all’altezza di un bar – mi affianca, mi supera, mi taglia la strada e si para davanti alla moto – dal lato passeggero, ne scende un omone grosso, ma tanto grosso!
… mi guarda fisso e mi fa “Cumpà, da dove vieni?” --- ma vaffanculo! 
E’ un italiano che ha fatto i soldi a Batumi. Vista la macchina (una volta ferma, noto che è proprio blindata), l’abbigliamento (“capezze” di oro a non finire), la circostanza che l’uomo alla guida resti con il motore acceso, mi guardo bene dal chiedergli come li abbia fatti … mi offre un caffè e io tremo ancora dallo spavento. Simpatica persona, ma poteva presentarsi in altro modo!
Arrivo (sano e salvo!) a Poti nel tardo pomeriggio e vengo accolto da una delle tante statue del “baffone”, ma non credo proprio che si tratti di Stalin.
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Prima di cercare l’albergo mi reco direttamente al porto per individuare la biglietteria qualora decidessi di prendere, da qui, il traghetto per Kerch (Ucraina).
Dopo un lungo girare (per la squallida città), trovo la sede della compagnia marittima – è purtroppo già chiusa, ma un gentile ragazzo, da dietro una vetrata, mi fornisce qualche indicazione. Mi conferma che il traghetto esiste, ma mi lascia intendere che potrebbe partire solo se pieno …
Vabbè, ci penseremo più avanti!
Trovo l’albergo prescelto sulla Lonely, caro, sporco e con la doccia che non funziona. Andiamo bene! Per giunta, la colazione non viene servita prima delle 08.30!
La sera, dopo cena, rifaccio un giro per la città – nulla da fare, la prima impressione è quella che conta. 
Brutta città questa Poti!
La tappa di oggi:
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				Mercoledì 6 Giugno 2012
Poti (GEO) - Akhaltsikhe (GEO)
307 km.
Da oggi, posso dire che inizio a fare il turista per davvero – le tappe si fanno infatti più brevi, per darmi modo di visitare ciò che mi sono ripromesso di vedere.
Partenza all’alba (senza colazione!) e mi immetto sulla M2 (E97) direzione Tblisi.
Mi accorgo che la visiera del casco balla in modo inusuale – mi fermo e controllo; ho perso uno dei fermagli che la tengono in posizione! Evidentemente, la sera prima, nel rimontarla dopo averla pulita non ho stretto bene. Non c’è problema, l’american tape ripara tutto! :idea:
Oltre alle buche, mi sorprende la miriade di mucche in mezzo alla strada – non mi danno l’idea di essere al pascolo, sono proprio abbandonante a se stesse forse dall’alba – mi auguro che la sera vengano ricondotte nelle loro stalle. 
Sono veramente pericolose, specie quelle che si sdraiano ai lati della strada, e se all’ombra di un albero – le vedi solo all’ultimo minuto.
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Di tanto in tanto, qualche automobilista georgiano cerca di ingaggiarmi in qualche gara “pisellometrica” – ovviamente lo lascio passare.
Polizia ne incontro spesso – è ferma ai lati della strada ma non mi pare attenta al traffico, stanno li fermi, a fumare e bighellonare. Sembrano addirittura intimoriti da questi scalmanati automobilisti!
Passo per Samtredia e per un breve tratto costeggio il fiume Rioni che nasce dalla catena montuosa  del Caucaso; il colore dell’acqua non lascia dubbi circa la sua provenienza.
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Arrivo a Kutaisi (seconda città della Georgia) e mi metto alla ricerca della Cattedrale di Bagrati, costruita nel secolo XI. 
La Lonely (aggiornata al 2008), lascia intendere che la Cattedrale sarebbe stata, di li a poco, restaurata. 
Così è, e – dopo una faticosa scarpinata a piedi – la trovo purtroppo chiusa!
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Mi colpisce questa grande e pacchiana piazza, forse la più importante a Kutiasi; piena di statue di animali rivestiti in simil oro.
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Riprendo la strada che mi porterebbe a Tbilisi ma, all’altezza di Khashuri, piego a sud lungo la M8. La strada ben presto inizia a salire e la temperatura si fa più gradevole.
Di tanto in tanto si trovano lungo la strada, i resti di quelli che potrebbero essere state delle piccole fortezze.
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Arrivo a Akhaltsikhe nel primo pomeriggio, così da avere tutto il tempo per visitare il Monastero di Sapara e la città di Vardzia. 
La Lonely riporta che il Monastero di Sapara è distante 12 km. dal centro della città, ma non spiega come arrivarci e, su tutto, non entra nei dettagli circa il fondo stradale. A fatica trovo le indicazioni per il Monastero ma mi trovo di fronte una strada ripida, fatta di ciotoli, credo difficile da percorrere con la mia moto. Chiedo informazioni e riesco a capire che, dall’altra parte della montagna ove si erige il Monastero (e che dalla città di Akhaltsikhe non è comunque visibile) ci dovrebbe essere un’altra strada, in migliori condizioni. Dopo un lungo cercare, finalmente la trovo, ma mi pare peggiore della prima.
Cambio allora strategia di attacco, vado in cerca dell’albergo e poi si vedrà. Giro non poco per trovarne un decente – alla fine scelgo il Prestige, dal nome altisonante.
Per la visita al Monastero, la proprietaria mi suggerisce di affidarmi ad un tassista che, in meno di 5 minuti, si materializza di fronte a me – concordiamo il prezzo per la visita a Sapara, compresa anche la città rupestre di Vardzia.
Le condizioni della Ford Escort adibito a taxi, sono quelle che si possono immaginare …
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Capisco subito che l’autista è un folle alla guida; gli faccio capire che non ho fretta – mi dice che lui è un “professional” alla guida ....
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La strada per il monastero di Sapara è impervia, non avrei potuto percorrerla con la mia moto mukka!
Ad esclusione del cartello all’inizio del sentiero, non ci sono altre indicazioni stradali; si incontrano spesso dei bivi ed è difficile capire quale direzione prendere, anche perché non c’è nessuno a cui chiedere. La strada sale ripida, ed il paesaggio è veramente bello ...
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				Dopo oltre mezz’ora di marcia forzata si intravede, tra gli alberi, il Monastero ...
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Ma perché mai i Monasteri della Georgia e dell’Armenia sono così lontani e difficilmente accessibili ai fedeli? E’ una domanda che mi porrò per tutto il viaggio … ed alla fine troverò quella che mi pare essere la risposta più logica.
Il complesso risale al IX secolo ed è costituito da due chiese.
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Con “professional”, riscendiamo la montagna alla volta della città di Vardzia, la cui caratteristica e che si sviluppa su ben 13 livelli, con le abitazioni scavate nella roccia, per un totale di oltre 5000 stanze!
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Lasciato il taxi, con una lunga scarpinata si raggiungono le abitazioni
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Dall’alto si gode uno splendido panorama della valle sottostante
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Rientrando verso Akhaltsikhe, “professional” continua a guidare in modo spericolato e, solo alzando la voce, riesco finalmente a farmi capire.
Scatto qualche foto alla fortezza di Khertvisi che incontriamo lungo la strada del ritorno.
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La sera, dopo mangiato, faccio una passeggiata nella città vecchia (Rabati)
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Rientrato in albergo, trovo la figlia della proprietaria che, in un buon inglese, si scusa per il comportamento del tassista a cui mi hanno affidato, evidentemente questi ha riferito che gli avevo urlato contro.
La ragazza, con un candore disarmante – mi fa capire che “professional” è lo scemo del paese, non ha lavoro e talvolta gli affidano qualche turista da portare in giro!
Ahahaha, viva la sincerità!!!!!!
La tappa di oggi:
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				Giovedi’ 7 Giugno 2012
Akhaltsikhe (GEO) – Yerevan (ARM)
434 km.
Oggi si entra in Armenia. 
Riprendo la M1 percorsa con “professional” il giorno prima, la strada inizia a salire e mi porterà presto a superare i 2000 mt. di altezza. In un baleno mi ritrovo al confine di Ninotsminda (GEO) - Bavra (ARM).
Le pratiche per uscire dalla Georgia sono rapidissime come anche quelle per entrare in Armenia, sebbene ora debba richiedere il visto e stipulare l’assicurazione della moto, obbligatoria.
Appena arrivato un efficientissimo poliziotto armeno mi consegna i moduli da compilare e nel frattempo demanda al suo collega la trascrizione dei dati della moto. Il visto (3000 AMD, circa 6€!) si paga in valuta locale; nessun problema, c’è un minuscolo sportello dove cambio i soldi.
Ottenuto il visto, passo al controllo doganale ma vengo esentato a fare la fila con i frontalieri (che, tra l’altro, sorridono felici). 
Passo poi a stipulare l’assicurazione per la moto, per la vertiginosa cifra di 1900 AMD (meno di 4€) … credo che i massimali siano comunque piuttosto bassi! 
L’impiegato è una specie di rag. Filini, molto scrupoloso – converte addirittura i dati di potenza della moto espressi nel libretto in KW in CV. E’ inoltre “posseduto” dal computer, ed ha grosse difficoltà nell’usarlo.
In compenso è gentilissimo e lo lascio fare con calma. Ci mancherebbe altro.
Lascio la frontiera tra saluti e strette di mano; la prima impressione (che poi è quella che conta!) è ottima.
Riprendo a muovere verso sud, ma forse distratto dai bellissimi nidi di cicogna che incontro lungo la strada
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… una volta giunto a Gymuri mi tengo troppo a ovest e finisco per abbandonare la strada statale a favore di una specie di provinciale con molte più buche.
Non tutto il male viene per nuocere, la strada mi porta infatti molto vicino al confine con la Turchia e mi viene da sorridere vedendo la lunga fila di altane di vigilanza turche … 
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… temono forse di essere invasi dagli armeni?
			 
			
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				Chiesa di cui non conosco il nome, mi pare di capire da poco completata …
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… e il suo interno ...
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... qualche pezzo ardimentoso ...
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Si sta facendo tardi è meglio ripartire e dirigersi verso la capitale Yerevan. Ho già scelto sulla guida, l’albergo dove pernottare, ho le sue coordinate, ma senza la cartografia digitalizzata, so che sarà difficile trovarlo.
Arrivo a Yerevan, traffico caotico, caldo impressionante – giro e ti rigiro, ma l’albergo non si trova.
Chiedo informazioni più volte, poi trovo due ragazzi che senza neanche farselo chiedere salgono in macchina e mi dicono di seguirli. Nel giro di 10 minuti siamo di fronte all’albergo; gli voglio offrire una birra ma vanno di fretta …
L’albergo è l’Areg, consigliato dalla Lonely e da qualche moto turista sui siti internazionali; veramente ottimo; garage per parcheggiare la moto, mini appartamenti che danno su un cortile interno, prezzo ragionevole e, su tutto, non lontano dalla stazione della metropolitana.
Domani sarà una giornata di intero riposo a zonzo per la capitale e la sua periferia, così da poter visitare un paio di siti interessanti. Prima di cena mi lancio in una delicata operazione di bucato!
La tappa di oggi:
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				Venerdì 8 Giugno 2012
Yerevan (ARM)
Sono tante le cose da fare appena mi sveglio; sembra che debba andare al lavoro!
Per prima cosa devo cercare la Rappresentanza del Nagorno - Karaback (NKR) per chiedere il visto e non perdere quindi tempo in frontiera, poi vorrei visitare il Tempo di Garni e il Monastero di Geghard  che si trovano ad est della città, e quindi “fuori mano” rispetto la strada che dovrò percorrere l’indomani (verso sud) e, infine, dedicarmi alla visita della città. 
Colazione con molta calma – non prima delle 0830; mi spiegano che prima non è possibile, come in Georgia, anche in Armenia se la prendono comoda, non c’è fretta! Basti pensare che nelle scuole, le lezioni non iniziano prima delle 9, gli uffici pubblici aprono solo alle 10, per non parlare dei musei, non prima delle 11 e alle 16 sono già chiusi.
Prendo la metropolitana e poi raggiungo a piedi la Rappresentanza del NKR (che apre alle 10.00!!), gentilissimi; comunico l’itinerario che intenderò percorrere e le cose da visitare. Mi viene detto di lasciare il passaporto e ripassare alle 15.00 per ritirare il tutto, compreso il lasciapassare, così da poter evitare, una volta arrivato a Stepanakert, la registrazione. 
La Lonely (edizione 2008), lascia intendere che, in tutti i casi, occorre passare presso il Ministero degli Affari esteri a Stepanakert per la registrazione; così tuttavia non è stato – con il lasciapassare in mano si è a posto (qui le informazioni aggiornate http://www.nkr.am/en/the-procedure-of-foreign-citizens-entry-to-the-nkr/92/ (http://www.nkr.am/en/the-procedure-of-foreign-citizens-entry-to-the-nkr/92/)). 
Senza mezzi termini, l’addetta mi suggerisce anche l’albergo dove sostare a Stepanakert, forse sono suoi parenti! Ovviamente sorrido e ringrazio per la gentilezza.
Esco dalla Rappresentanza e mi metto alla ricerca di un taxi che mi porti al Tempo di Garni e al Monastero di Geghard – ne trovo uno che fa al mio caso, non ha insegne – credo quindi sia abusivo – ma è uno splendido Volga 3110, macchinone russo di vecchia memoria.
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Lungo la strada per il Tempio di Garni, ci fermiamo ad ammirare l’Arco di Ararat, eretto in memoria del poeta armeno Charenz
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In questa si intravede in lontananza il Monte Ararat (in pieno stile Alfred Hitchcock, la panza è quella del tassista ...)
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Il Monte Ararat
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La visita al Tempio di Garni (edificato nel I secolo d.C) è d’obbligo, ma non mi entusiasma; sarà forse perché pare la piccola brutta copia del Partenone o forse per i turisti (guarda caso italiani …) appollaiati alla sua base...
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Mi sposto poi a visitare il Monastero di Geghard, e del perchè sia entrato a far parte della lista dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO è presto detto – trattasi di un complesso di chiese, monasteri e sacrestie, parzialmente incastrati nella roccia ...
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Si è fatto tardi, rientriamo quindi in città e passiamo vicino alla statua della Madre Armenia, che guarda in direzione del confine con la Turchia e brandisce una spada a difesa del popolo armeno. 
Ecco forse spiegata la ragione per la quale il confine turco è blindato!
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				Mi faccio lasciare direttamente presso la Rappresentanza del NKR; non sono ancora le 15.00 ma il passaporto – con il suo coloratissimo visto – è già pronto. 
Finalmente mi posso dedicare alla visita di Yerevan – seguo il consiglio della Lonely che suggerisce di percorrere un itinerario a piedi che taglia la città da nord a sud.
La Cascade è una lunga rampa di gradini, ornata ai lati da statue dal sapore un po’ kitsch (almeno per i miei gusti)
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				Riesco a scovare la minuscola chiesa di Katoghike del XIII secolo, nascosta dagli alti palazzi circostanti ...
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La gente sorride, è educata, ben vestita – faccio fatica a pensare di trovarmi in Armenia – è evidente che questa non è la “vera” Armenia, e mi reputo fortunato di poter vedere altro, oltre a questa capitale cosmopolita, pulita, in ordine, ma non troppo diversa da una qualsiasi capitale europea. Arrivo in Piazza della Repubblica (Hanrapetutyan Hraparak) …
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… e visito il monumentale Museo Statale della Storia Armena
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Interessantissimo, specie la sezione riguardante il genocidio armeno – l’illustrazione del genocidio è chiara, senza un particolare astio nei confronti dei turchi e documenta, al di la degli evidenti fatti (oltre 1.000.000, i morti), il chiaro e premeditato disegno politico turco spinto dall’ideologia espansionistica del “panturchismo” (cito Treccani “movimento tendente a promuovere l’unità culturale e politica fra tutti i popoli di lingua turca”). 
L’impressione e che gli armeni abbiano, loro malgrado, accettato il genocidio come un triste capitolo della loro storia; ora ciò che non tollerano è l’atteggiamento negazionista della Turchia. 
Non chiedono vendetta, ma il solo giusto riconoscimento.
			 
			
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				Sabato 9 Giugno 2012
Yerevan (ARM) – Stepanakert (NKR)
397 km.
La sveglia me la da mia moglie che con uno stringato sms mi informa che a Pordenone si è avvertito il terremoto – con il pensiero a quello che era capitato in Emilia – mi allarmo subito ma un ulteriore rapido scambio ti messaggini mi tranquillizza.
L’uscita da Yerevan è agevolata dal fatto che mi trovo già a sud della stessa, la cartografia digitale del GPS non mi aiuta e mi affido quindi alla sua bussola; direzione il Monastero di Khor Virap, splendido nella sua architettura, ancora di più per la sua posizione fronte il monte Ararat.
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E’ indubbio che il fascino di Khor Virap, venga esaltato dalla vista del monte Ararat – il Monastero pare rappresentare l’ultimo baluardo armeno, ora che il monte si trova in territorio turco, e continua a rappresentare, nei cuori degli armeni, il simbolo nazionale dell’Armenia. Ultima curiosità, per gli armeni Ararat significa “Creazione di Dio” per i turchi il suo nome significa invece “montagna del dolore”; questo la dice lunga sui diversi punti di vista…
Arrivo al Monastero piuttosto presto e riesco a godermelo in tutta tranquillità.
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Novarank bisogna proprio andarlo a cercare, lasciata la strada principale, si gira a destra e ci si avventura per circa 8 km. lungo una stupenda gola.
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Una volta giunti sul posto, la visita delle Chiese di Surp Astvatsatsin e di San Karapet, ne vale proprio la pena.
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Mi immetto nuovamente sulla M2 e punto decisamente verso est; la calura è infermale ma il passo di Vorotan con  i suoi quasi 2500 mt. mi rinfresca un poco.
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La deviazione per il successivo Monastero di Tatev è più lunga rispetto a quella di Novarank, oltre 25 km., di cui gli ultimi 5 su strada sterrata in discreta pendenza. Una lunga serie di tornanti, da percorrere con attenzione per non scivolare ... :tongue:
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Giunto in cima, scopro che – evidentemente da poco – è in funzione una funivia (chiamata “le ali di Tatev”) e che ai tanti turisti, evita la lunga salita in auto (ai bus non è comunque consentito salire, in quanto la strada è troppo stretta).
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Come si dice … si è fatta “na certa” ed è ora che mi sbrighi a raggiungere il posto di frontiera con il Nagorno. 
Ma poi sarà un posto di frontiera vero e proprio o semplicemente un posto di controllo?
La sana curiosità mi assale; una volta lasciatomi alle spalle Goris (l’ultimo grande abitato in Armenia prima del Nagorno) la strada è deserta; per chilometri e chilometri non incontro nessuno lungo ambedue i sensi di marcia.
Ad un certo punto, dopo un piccolo ponte ed una curva a gomito intravedo la caratteristica bandiera del Nagorno, uguale a quella armena tranne per un disegno bianco sul lato destro che (cito Wikipedia) “vuole sia richiamare i tipici disegni dei tappeti locali che rappresentare la separazione dall'Armenia”.
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(PS = la bandiera del NKR è quella di destra, ma senza vento non riuscivo a farla sventolare!)
Apro una breve parentesi: non credo che la bandiera del Nagorno voglia rappresentare la separazione dall’Armenia – semmai dall’Azerbaijan, di cui territorialmente ne fa parte; sempre Wikipedia corregge infatti il tiro, riportando che la bandiera del Nagorno “allude più realisticamente alle divisione politica del paese da quella che è considerata la madrepatria”, cioè l’Armenia. Chiusa la parentesi.
Torniamo alla strada, arrivo al posto di controllo – senza sbarra ne reti che ne delimitano l’area; semplicemente un cartello che invita a fermarsi e mostrare, al poliziotto di turno, i documenti. Una rapida occhiata al visto sul passaporto e al lasciapassare e posso ripartire – al massimo avrò perso 30 secondi.
Prima di risalire in moto, noto una 206 con targa iraniana (in realtà le targhe sono due, quella originale più una dedicata agli escursionisti esteri che, evidentemente, viene loro rilasciata quando escono dal Paese) – ovviamente mi avvicino (sono attratto dagli iraniani !), la coppia di ragazzi a bordo sta studiando una mappa stradale, non con qualche perplessità. 
Sono di rientro nel sud dell’Iran, dopo un viaggio in Turchia, Georgia e Armenia, e mi spiegano che non li lasciano entrare in Nagorno perché da qui non potrebbero raggiungere l’Iran, atteso che  di entrare in Azerbaijan non se ne parla proprio … tiro fuori la mia di mappa – che mi pare più aggiornata – e scopriamo assieme che devono ritornare indietro, verso l’Armenia e, a Goris puntare decisamente a sud. 
Mi auguro gli sia andata bene ed abbiano ritrovato la strada per casa!
			 
			
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				Mi rimetto in moto, poco più di 30 km. mi separano dalla capitale Stepanakert. Lungo la strada, incontro qualche monumento, chiaro riferimento alla vittoria sugli azeri.
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Contrariamente a quanto riportato dalla mappa – la strada non è assolutamente diritta; mi trovo sui 900 mt. e la strada, fatta di curve e tornanti, tira sino a raggiungere i 1800 mt..
Ecco Stepanakert vista dall’alto.
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Affaticato arrivo a Stepanakert, noto subito che c’è maggiore polizia in giro nonché molti camion militari. 
Decido di non seguire il suggerimento della tizia della Rappresentanza del Nagorno a Yerevan e punto alla ricerca dell’albergo che avevo già individuato sulla guida; si rivelerà una scelta azzeccata (Hotel Nairi, moto all’aperto ma guardata a vista dal guardiano).
In albergo, oltre ad una coppia orientale, non c’è nessun altro – doccia rapida e via a piedi per la città, il cui centro dista poche centinaia di metri.
Ancora onore ai caduti della guerra
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Chissà cosa dice il regolamento di condominio su come stendere i panni a Stepanakert …
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La tappa di oggi:
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				Domenica 10 Giugno 2012
Stepanakert (NKR)
Sto diventando pigro, decido di visitare il Monastero di Gandzasar (del XIII secolo) ricorrendo ad un taxi, alla reception dell’albergo chiedo di trovarmene uno, con la speranza che l’autista parlicchi un po’ di inglese, così da poter scambiare due chiacchere e cercare di capire un po’ di più di questo strano posto che è il Nagorno.
Kamal è il nome dell’attempato signore a bordo del suo taxi, la guida è molto più prudente rispetto a quella di “professional” incontrato in Georgia – mi dice che ha combattuto la guerra contro gli azeri, non in prima linea, ma – quale meccanico – nelle retrovie. Non so se credergli, la cosa – detta ad un turista quale sono – mi appare fin troppo scontata.
Ci dirigiamo a nord e prima di raggiungere il Monastero, passiamo per l’abitato di Vank, citato nella guida per il suo caratteristico albergo
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Poco dopo arriviamo al Monastero di Gandzasar
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Nulla a che vedere con i monasteri armeni, ma ha del fascino …  
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All’interno della chiesa di Surp Hovhannes Mkrtich si tiene un battesimo
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All’esterno enormi gelsi
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Se mai vi chiedeste come è possibile identificare una chiesa armena, cercate al suo interno o nei paraggi uno o più khachkar; trattasi di cippi funerari scolpiti su pietra, quasi sempre a forma di croce (raramente rappresentano un crocifisso) dall’alto valore simbolico, non solo religioso. 
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Rientrando verso Stepanakert, Kamal, molto gentile, insiste per offrirmi un caffè. Spero mi ospiti in un locale tipico – finiamo purtroppo in un’area dedicata ad un parco giochi, con un albergo dalla dubbia architettura ed adornato da una mega statua di una tigre scavata nella roccia.
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Rientrato in albergo, prendo la moto per completare la visita della città e vado alla ricerca di quello che è considerato essere il simbolo del Nagorno, il Tatik yev Papik (il nonno e la nonna), anche conosciuto come “Siamo le nostre montagne”.
La delusione è forte, lo trovo infatti in fase di restauro, e le impalcature non gli donano affatto...
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E’ domenica, e contrariamente a quanto riportato nella guida, il Museo Statale è chiuso; non mi resta quindi da visitare dall’esterno (anche questo è infatti chiuso) il Museo dei Soldati Caduti durante la guerra contro l’Azerbaijan.
Interessanti le armi, costruite in modo artigianale, con le quali è stato affrontato il ben più equipaggiato esercito azero (a sua volta supportato dalla Turchia). 
Questi sono un cannone artigianale, 
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una piastra lanciarazzi 
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e altro cannone, fabbricato alla meno peggio; 
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dubito fortemente circa la loro precisione, ma visto il risultato finale, devono essere serviti al loro scopo....
Considerazioni conclusive sul Nagorno. 
Mi aspettavo di meglio, Stepanakert (specie di domenica) non offre nulla di particolare, tanto da giustificare il viaggio. Sicuramente più interessante, dal punto di vista paesaggistico, l’area a nord – e per chi ama il brivido, avvicinarsi alla linea del cessate il fuoco (comunque vietatissimo), può rappresentare un fattore in più. 
Secondo me, si può ridurre la visita ad un giorno solo. 
Basta ed avanza.
			 
			
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				Lunedì 11 Giugno 2012
Stepanakert (NKR)- Tbilisi (GEO)
585 km.
Oggi voglio raggiungere Tbilisi, capitale della Georgia, i chilometri non sono pochi (poco meno di 600), le cose da vedere lungo il percorso sono tante, ma non mi preoccupa arrivare sul tardi, avrò infatti tutta la giornata di martedì per visitare con calma la città.
Riprendo la strada verso il “confine” con l’Armenia, la temperatura è fresca ed è un piacere viaggiare; arrivato al posto di controllo una rapida stretta di mano e via, non prima di aver riconsegnato il lasciapassare che ho, senza successo, chiesto di poter conservare per ricordo.
Lungo la strada percorsa due giorni prima, dopo essere ripassato per il Passo di Vorotan (freddino…) arrivo a Getap e punto a nord lungo la M10, direzione il Lago di Sevan che raggiungo dopo aver superato un altro passo (quello di Vayots, 2400 mt., anche qui freddino...).
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Lungo la strada, parzialmente nascosto da una curva, trovo il Caravanserraglio di Selim (del 1300), costruito in un periodo, nel quale la Via della Seta tra Iran e Europa passava da queste parti. 
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Nulla a che vedere con i caravanserragli in terra persiana – quelli visti in Iran sono ben più grandi, in grado di ospitare, oltre ai cammellieri e le bestie, anche le provviste.
Giungo a Martuni, ed inizio a costeggiare la sponda occidentale del Lago di Sevan, e mi dedico ad una veloce visita al Monastero di Hayravank (del 1100) che sorge su di un promontorio,
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A mio parere, ben più imponente di quanto la guida lasci supporre. Gli interni del monastero ...
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e la vista sul lago di un bellissimo azzurro
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a terra, incastonato nella roccia, ho trovato questo
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se fossimo in Italia, azzarderei nel dire che è un punto trigonometrico. Tutto attorno è un fiorire di colori ...
(http://i48.tinypic.com/50jryo.jpg)Prima di passare al secondo Monastero, quello di Haghpat, poco distante – mi fermo a visitare la parte esterna del Museo Mikoyan, dedicato ai due fratelli nati proprio a Sanahin; uno dei due Artëm Ivanovič, è niente popò di meno colui il quale, assieme ad un altro compatriota – Michail Iosifovič Gurevič – ha fondato la Mikoyan-Gurevich, meglio nota come MiG;
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peccato che non ci possa salire sopra!
Giungo al Monastero di Haghapat, anche lui vecchio di mille anni, ma meglio conservato e valorizzato; nel tempo divenuto un vero e proprio complesso monastico con chiesa, torre campanaria, biblioteca e refettorio.
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Mi rimetto in moto, c’è ancora un po’ di strada da fare. 
Arrivo alla frontiera (Sadakhto – Bagratashen) con la Georgia. Le procedure per uscire ed entrare sono rapidissime, specie dalla parte georgiana, specie quando vedono – dai timbri sul passaporto – che ero già entrato/uscito nel Paese in settimana.
Non posso fare a meno di voltarmi indietro e lanciare il mio ultimo sguardo all’Armenia; a parte le buche per le strade (alle quali, ci si abitua), ne conserverò un gradevolissimo ricordo. Gente ospitale, educata, sempre sorridente. Su tutto, mi ha colpito il contrasto (forse eccessivo) della capitale Yerevan, con il resto del Paese, come pure l’atteggiamento di "apertura" verso il genocidio armeno. 
Difficile la vita per l’Armenia, qui nelle alte montagne del Caucaso, con il rischio di restare isolati dal mondo; con due – sui quattro Paesi confinanti – con i quali non ha allacciato salde relazioni diplomatiche (Turchia e Azerbaijan), con il “peso” ingombrante del Nagorno, oltre a quello dell’enclave azera del Naxcivan.
E’ proprio il caso di dire che in terra armena, più che in ogni altra parte della regione, l’”equilibrio è instabile”. 
La tappa di oggi:
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				Scorci della città vecchia, con qualche pezzo di strana, ma gradevole, architettura
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Il Parlamento
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Piazza della Libertà con la statua di San Giorgio
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L’interessantissimo Museo della Georgia, in particolare l’ala dedicata all’occupazione russa; una mappa, su tutto, lascia intendere cosa ne pensino, al riguardo, i georgiani (… l’occupazione continua)
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Un enorme ponte pedonale sul fiume Mtkavari, pare costato una cifra sproporzionata. 
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Dall’alto del fiume intravedo due moto, parcheggiate davanti ad un albergo, cariche di bagagli e pneumatici di riserva. 
Sono i primi motociclisti che incontro da quando sono partito, non faccio in tempo a scendere che sono già ripartiti!; non posso quindi sapere chi siano e soprattutto dove vanno o da dove arrivano … ma con quei tassellati una mezza idea ce l’ho....Ancora qualche pezzo particolare 
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Considerazioni su Tbilisi: come per Yerevan, è spropositato il contrasto con il resto del Paese ma anche all’interno della stessa città. Estremamente puliti i suoi viali, ma nei sottopassaggi e nei cortili della case la puzza di urina e la sporcizia è impressionante.  
In molti esercizi commerciali  è addirittura possibile pagare con tecnologia applicata a telefonino ma, per contro, si trovano numerose mini bancarelle che vendono a pochissimi lari (ma la gente tratta comunque il prezzo) semi di noccioline, sigarette al pezzo singolo, piantine di fiori su fondi di bottiglia di plastica ed addirittura bottoni usati!
Nei numerosissimi sottopassaggi (i viali sono larghi e le strisce pedonali sono pressoché assenti) c’è poi un microcosmo a parte; pieno di ambulanti e mini negozi che offrono i servizi più disparati a prezzi irrisori (almeno per noi turisti).
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La città è inoltre piena di macchinette mangia soldi per strada, in molti tentano infatti la fortuna.
A nanna, domani si va verso il confine russo!
			 
			
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				Mercoledì 13 Giugno 2012
Tbilisi (GEO) – Kazbegi (GEO)
173 km.
Di nuovo in sella, puntando decisamente a nord. L’uscita da Tbilisi è agevole, anche qui mi aiuta molto il fiume Mtkvari e la bussola del GPS.
Ben presto arrivo a Mtskheta, già capitale del regno di Georgia attorno al IV secolo, luogo ove i georgiani si convertirono al Cristianesimo e città in cui ha sede la Chiesa ortodossa e apostolica georgiana. Al pari della città santa di Echmiadzin, vicino a Yerevan in Armenia, Mtskheta è dunque un luogo sacro per i georgiani.
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Limito la mia visita alla cattedrale di Svetitskhoveli, maestosa nella sua architettura.
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Ritorno sui miei passi e trovo ad aspettarmi il custode al quale avevo lasciato in affidamento la moto, e al quale riservo qualche coccola …
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La voglia di percorre la famosa Strada Militare Georgiana è molta e quindi mi rimetto presto in marcia.
La strada è lunga poco più di 200 km. e collega Tbilisi con Vladikavkaz, capitale dell’Ossezia del Nord in Russia. Costruita dai russi nei primi dell’800, è stata ultimata nel 1860, con soluzioni architettoniche all’avanguardia per l’epoca; ponti in ferro, tratti con due corsie per senso di marcia – il tutto con materiali fatti per resistere alle alte quote (Passo di Jvari di circa 2400 mt.) e, quindi, ai geli invernali. 
Contrariamente a quanto si pensa, la Strada Militare Georgiana non è stata utilizzata durante il conflitto tra Russia e Georgia nel 2008, in quanto i russi, per entrare in Ossezia del Sud, hanno utilizzato la Strada Militare Osseta, che si trova più ad ovest di quella georgiana.
Lungo la strada che, lentamente ma inesorabilmente continua a salire, incontro la cittadella fortificata di Anuri e visito velocemente la Chiesa dell’Assunzione
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La strada è, tutto sommato, in buoni condizioni, ad eccezione di un tratto non asfaltato di circa 15 km. dopo Gadauri. Il traffico è scarso, pochissimi turisti, peraltro solo russi o locali.
Giunto al Passo di Jvari (mt. 2380, il punto più alto della strada), mi fermo in questo coloratissimo anfiteatro
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Dal quale si gode uno stupendo panorama
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A sud la valle ...
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... mentre a nord si erige maestoso, in secondo piano, il monte Kazbek ...
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Ripresa la salita, vedo provenire da nord due motociclisti su BMW – faccio quasi fatica a fermarli, mi devo mettere in mezzo la strada, altrimenti avrebbero proseguito diritto! 
Sono inglesi (ecco spiegato il tutto!) gli chiedo se provengono dalla Russia e se sono quindi riusciti a varcare il confine; mi dicono di no, non hanno previsto di varcare il confine e sono stupiti dalla mia domanda.
Gli spiego allora che a seguito della guerra del 2008, la frontiera tra Russia e Georgia è stata chiusa ai cittadini non-CSI; da poco la frontiera dovrebbe essere stata riaperta a tutti, da qui la mia domanda. 
Mi guardano allibiti e mi rendo conto che girano a vuoto; come si fa a visitare un Paese come la Georgia (ma il discorso vale per tutti) e non conoscerne la storia, alemno quella recente?
Ancora una volta mi viene in mente il film “I due nemici” laddove un grande Alberto Sordi fa notare all’inglesissimo David Niven che “i nostri compatrioti costruivano le fognature quando gli inglesi si dipingevano ancora la faccia di blu”! Ahahahahah!
La mia potrà essere scambiata per presunzione; ritengo invece che presentarsi in un Paese non conoscendone la storia, la cultura e le tradizioni, costituisca un atto arrogante.
Poco più avanti, una formazione rocciosa calcarea, dalla quale sgorga un’acqua rossastra.
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				Arrivo a Kazbegi, ultimo centro abitato in terra georgiana, prima del confine, e dove ho previsto di passare la notte. Mi metto alla ricerca di un alloggio; l’albergo in piazza è pieno di turisti inglesi (anche qui!) arrivati per scalare le montagne circostanti (il monte Kazbek è alto ben 5000 mt., tra le cime più alte della catena montuosa del Caucaso).
Non faccio a tempo ad uscire dall’albergo che vengo avvicinato da un simpatico omaccione che per un prezzo accettabilissimo, mi offre alloggio, cena, colazione e visita al Monastero di Tsminda Sameba.
Mi scorta quindi a casa sua, da poco adibita a guesthouse dove trovo altri turisti, una coppia di lituani accompagnati da tre georgiani, esperti scalatori del monte Kazbek.
Il tempo di cambiarmi e ci avventuriamo lungo la ripida e disastrata strada che porta al Monastero di Tsminda Sameba; sarebbe stato per me e per la mia RT, impossibile raggiungere la vetta.
Il tragitto per raggiungere il Monastero è tutt’altro che breve – ben oltre mezz’ora con la povera Lada che sobbalza ad ogni buca. Molti i turisti che si avventurano a piedi; avendo a disposizione più tempo, questo è forse una buona alternativa per raggiungere il Monastero.
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Dopo la visita torniamo indietro, Josep (questo è il nome dell’autista e padrone di casa) mi conferma che il confine è aperto, almeno a quanto gli sia dato da sapere. La settimana precedente ha ospitato quattro motociclisti rumeni che non ha visto ritornare indietro; da qui la deduzione che il confine non sia chiuso.
Mi faccio lasciare nella piazza della città e vedo sfrecciare i due motociclisti, le cui moto avevo visto parcheggiate a Tbilisi il giorno prima; non riesco a farmi notare e quindi a fermarli, ma riesco a vedere le targhe (sono due polacchi), sono diretti verso il confine e, in cuor mio, spero di non rivederli tornare indietro!
Rientro alla guesthouse, poco prima di cena, e mi dedico ad un rapido controllo della moto, la parte anteriore è tappezzata di insetti vari ...
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La sera ci ritroviamo tutti attorno al tavolo; gli escursionisti fremono per partire, la scalata del monte Kazbeg non è semplicissima – necessita di almeno tre giorni, due dei quali di ambientamento di alta quota. 
I ragazzi georgiani che scortano i due lituani, sono i titolari di una agenzia di viaggio di Tbilisi che organizza viaggi ed escursioni per i turisti.
Il discorso cade inevitabilmente sui fatti della recente guerra (agosto 2008); mi raccontano di come sia stato estremamente difficile per loro organizzare il rimpatrio dei turisti presenti in Georgia, allo scoppio del conflitto. 
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Finalmente mi viene spiegato perché in Georgia, ma soprattutto in Armenia, i Monasteri sono distanti dalle città e dai villaggi; la spiegazione è semplice ed allo stesso tempo banale – il fedele deve poter “faticare” per raggiungere il Monastero (ecco spiegato perché molti ritengano più corretto raggiungerli a piedi). 
Di norma, il Monastero non deve essere visibile dall’abitato, giusto per esaltare quel alone di mistero e di sacralità. 
Mi portano l’esempio della Chiesa di Tsminda Sameba, negli anni 80 i russi costruirono una funivia che dall’abitato di Kazbegi, giungeva ai piedi della Chiesa; inutile dire che la funivia è stata poi rimossa dai georgiani.
Alla domanda se si sentono più asiatici che europei la risposta è diplomatica nonché ovvia – la comunanza all’Asia è forse un fatto meramente geografico, la lunga dominazione russa, la religione, il futuro (il possibile ingresso nella NATO, le relazioni sempre più strette con l’Unione Europea) li portano a guardare sempre di più verso ovest, piuttosto che a est.
Il tramonto regala una splendida vista sull’imponente monte Kazbek ...
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Ultima nota su Kazbegi e l’area circostante; è una zona in forte espansione turistica – e non vi è alcuna difficoltà a trovare un alloggio economico. 
Gli abitanti si sanno organizzare al meglio; questo è quello che ho trovato nella rete …. che dire, pratici!
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La tappa di oggi:
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				Giovedì 14 Giugno 2012
Kazbegi (GEO) – Elista (RUS)
297 km.
Il molosso georgiano del padrone di casa che ha fatto la guardia alla mia moto. Anche lui, e le sue pulci, si sono guadagnati una dose di coccole extra!
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Dopo aver fatto colazione con gli amici georgiani/lituani, alle 7 sono già per strada. Ben presto arrivo al confine georgiano; struttura moderna ed efficiente (siamo nei pressi del passo di Darial). 
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Vengo accolto con un largo sorriso, controlli rapidi, di routine, e vengo lasciato passare. 
Dopo qualche chilometro, percorso nella terra di nessuno, arrivo al confine russo di Verkhniy Lars, trovo un cancello sbarrato dove non c’è nessuno a presidiarlo – mi avvicino e mi si gela il sangue! 
Poco più in la intravedo infatti, i due motociclisti polacchi visti il pomeriggio precedente, fermi ai lati delle loro rispettive moto. Che ci fanno ancora qui? Ma allora non li hanno fatti passare?
Nel frattempo il cancello, evidentemente comandato a distanza si apre, entro con la moto, dopo un centinaio di metri mi fermo al primo gabbiotto (qui sorridono di meno) ed inizia il controllo dei documenti (buon segno…), il visto viene controllato e ricontrollato mille volte. Tutte le pagine del passaporto vengono contate, quasi ad accertarsi che non ne manchi qualcuna.
I polacchi, nel frattempo, sono spariti dalla mia vista – è evidente che hanno quindi passato la notte nei paraggi.
Il controllo doganale è effettuato da una giovane poliziotta che, una volta vista la mia nazionalità, continua a ripetere che l’Italia è bellissima – i controlli sono velocissimi, lei stessa si incarica di compilare il modulo per la moto.
Esco dal posto di frontiera e finalmente realizzo che il confine è proprio aperto!
La meta è raggiunta ed ora si torna a casa – non subito, ma da ora in poi considero la strada che percorrerò, come quella del ritorno.
Sono entrato in Russia, ma in realtà mi trovo nel mezzo dell’Ossezia del Nord (Repubblica autonoma della Russia); raggiungo facilmente la capitale Vladikavkaz e noto molte bandiere delle Repubblica, in luogo di quella russa. 
Molte macchine hanno anche una targa diversa, riportante la sigla RSO (Respublika Severnaia Osetiya-Alaniya); è evidente che qui l’autonomia da Mosca è più sentita.
Proseguo lungo la M29, direzione di Beslan, e lo stomaco mi si contrae; sono infatti alla ricerca della scuola pubblica che nel settembre 2004 venne tenuta in ostaggio da parte di un gruppo di guerriglieri ceceni. 
Un totale di 1127 tra bambini, insegnati e genitori trascorse tre lunghi giorni all’interno della scuola; 334 persone persero la vita (di questi, 186 bambini), oltre a 11 poliziotti e 31 sequestratori.
Trovare la scuola non è facile. Chiedo ripetutamente in giro; o non riesco a farmi comprendere o l’avvenimento è tanto triste che la gente preferisce non pensarci. Alla fine, trovo una signora di mezza età, sorridente – fino a quando non gli chiedo della scuola; allora si incupisce, abbassa la testa e mi indica la direzione da prendere.
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La gioia per aver trovato il confine aperto ha lasciato il posto ad una profonda tristezza – entrare nella scuola e vedere le foto dei bambini appese al muro non è facile. 
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Definirla una strage è forse riduttivo; una mente malata non avrebbe mai potuto ordire un simile gesto. 
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L’attacco è stato infatti voluto, pianificato, e non da un singolo, ma da un gruppo – la scelta della scuola non è stata casuale, è servita per ampliare il messaggio, un messaggio di orrore e di dolore. 
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Correttamente le autorità locali hanno deciso di onorare il luogo, inglobandola struttura in un mausoleo di vetro.
E prevedendo di costruire, nei paraggi, una chiesa.
(http://i46.tinypic.com/dwsz10.jpg)Il caldo è asfissiante, riprendo il mio percorso e faccio subito la conoscenza con la polizia russa.
Appostati dietro un albero, mi fermano e mi contestano di aver superato un’auto in un tratto di strada dove vige il divieto – a me non pare, ricordo di aver superato l’auto ma, appena visto il cartello, sono rientrato nella mia carreggiata. La fortuna è dalla mia parte, hanno infatti ripreso la scena con una telecamera – il tempo di riavvolgere il nastro e sono costretti a darmi ragione (naga 1 – polizia russa 0).
Passo vicino alla città di Nalchik, capitale della repubblica autonoma della Cabardino-Balcaria, lambisco la repubblica autonoma di Karacaj-Circassa e passo non distante dalla città di Stavropol, capitale della repubblica autonoma del Territorio di Stavropol. Non noto alcuna particolarità che distingua questi luoghi dalla Madre Russia; forse, la loro autonomia, è un fatto meramente amministrativo.
Di tanto in tanto incontro qualcuno che mi chiede da dove vengo e dove sono diretto; la prima diffidenza iniziale, si scioglie quasi subito con un sorriso.
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La diffidenza russa è comunque proverbiale e credo abbiano grossi problemi correlati con la sicurezza. 
Come al solito, in molte stazioni di servizio, l’erogazione del carburante avviene solo dopo aver pagato il dovuto all’omino di turno, asserragliato nella sua cassa (ΠACCA in russo, che a me fa tanto ridere…), protetto da sbarre di ferro e telecamera. La cosa mi da molta noia; calcolare quanti litri di benzina possano entrare nel serbatoio e quindi il prezzo da pagare non è sempre immediato, specie quando hai bisogno del resto.
Nel mio precedente viaggio in Russia, avevo memorizzato il gesto da compiere all'indirizzo dell’addetto nascosto nella ΠACCA, per poter fare prima il pieno e poi pagare – consiste nel passare ripetutamente la mano a pochi centimetri dalla testa (come a dire “pieno fino all’orlo”). Non sempre questo è tuttavia accettato e, in qualche occasione, sono stato costretto ad andare alla ricerca di un’altra stazione di servizio. 
Anche i dispenser di bibite ghiacciate presenti nelle stazioni di servizio, e che si trovano all’esterno del gabbiotto, pare siano l’obiettivo prediletto dei ladri. Hanno infatti lo sportello chiuso e l’apertura avviene, con comando elettrico solo dall’interno, dopo aver pagato.
La strada è a tratti deserta, e costeggia lunghe distese di nulla …
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Mano a mano che proseguo il viaggio, incontro persone dai tratti somatici orientali, sono infatti entrato nella Repubblica autonoma della Calmucchia, la cui capitale Elista la raggiungo nel pomeriggio.
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I calmucchi sono un popolo di origine Mongola che vive nella Russia europea da molti anni, professano il buddismo, unico caso in tutta l’Europa.
Mi metto alla ricerca di un albergo, il primo che trovo è pressoché pieno, ma con un po’ di pazienza riuscirebbero a trovarmi una stanza; mi comunicano il prezzo: 125 euro! 
Inizio a ridere a crepapelle, poi temendo di aver capito male (l’albergo non ne vale assolutamente) mi faccio ripetere il prezzo in Dollari, ma scopro di aver capito bene. Esco dalla hall ridendo come un matto.
Placco un tassista e per qualche rublo gli chiedo di accompagnarmi presso un altro albergo, che troviamo subito, per giunta vicino al centro città.
Strana città Elista, con tutte queste persone dai tratti somatici orientaleggianti. C’è anche qualche “russo originale”, non vedo tuttavia coppie miste e (guarda caso!) la polizia è … inequivocabilmente russa (forse Mosca li manda qui da altre regioni del Paese).
La città è piena di templi e templetti buddisti
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Ma la statua di Lenin non manca mai …
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La tappa di oggi:
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				Venerdì 15 Giugno 2012
Elista (RUS) – Volvograd (RUS)
297 km.
Tappa semplicissima quella di oggi; poco meno di 300 km. direzione nord, in modo di arrivare nel pomeriggio a Volvograd (ma io preferisco chiamarla Stalingrado) ed avere il tempo di visitarla con calma.
La strada è pressoché diritta, ottimo asfalto, profilo altimetrico quasi nullo – ma quello che colpisce sono le enorme distese … proprio adatte a farci una battaglia! 
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Arrivo a Stalingrado nel primo pomeriggio, trovo subito l’albergo, doccia, mi cambio e mi fiondo al Museo della battaglia di Stalingrado – veramente ben fatto, peccato che buona parte delle didascalie non siano tradotte in inglese.
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La particolarità del museo è il modo con cui è stato strutturato, il visitatore – seguendo le indicazioni – ha modo di poter ripercorrere le varie fasi delle battaglie che si protrassero dal 17 luglio 1942 al 2 febbraio 1943.
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Il museo ha anche una specie di panoramio che illustra, a 360°, il campo di battaglia.
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Fuori dal museo, il fiume Volga, e che le truppe tedesche hanno invano tentato di superare.
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La tappa di oggi:
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				Sabato 16 Giugno 2012
Volvograd (RUS) – Berdianski (UA)
757 km.
Originariamente, il piano prevedeva di fermarmi ancora una notte in Russia, a nord di  Rostov-na-Donu e mettermi alla ricerca dei luoghi dove a combattuto la Divisione Pasubio nel corso della II^ Guerra Mondiale.
Nei mesi precedenti la mia partenza, avevo contattato qualche associazione combattentistica che, di tanto, in tanto si reca in quei luoghi per onorare la memoria dei nostri caduti; purtroppo la ricerca e la visita dei luoghi, quali quelli di Bogucar, Monastyrchina, Dubrava, Arbusov, è possibile con viaggi organizzati e con la guida del posto, autorizzata dalle autorità di Mosca. 
La temperatura è finalmente gradevole, ed è un piacere viaggiare. Ad una stazione di servizio incontro tre motociclisti tedeschi, di ritorno dalla Siberia e diretti a casa.
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Due di loro sono alla guida di altrettante monocilindriche BMW, che hanno acquistato – per l’occasione – prima di partire. Quella a sinistra, ha grossi problemi di raffreddamento perché si è imbattuta in un tratto di strada in rifacimento, ricoperto di catrame liquido, che ha ricoperto il radiatore.
Percorriamo un tratto di strada tutti assieme e, immancabilmente, veniamo fermati dalla polizia (quattro motociclisti europei fanno gola); a me viene contestato il superamento del limite di velocità – purtroppo per loro la prova fotografica che mi fanno vedere non è tuttavia quella giusta, ritrae infatti uno dei tedeschi. 
Rapida consultazione e la multa non viene elevata neanche al crucco (naga 2 – polizia russa 0!).
L’occasione mi permette però di visitare l’interno del posto di polizia (GAI), la control room, così viene infatti chiamata dal poliziotto che me la illustra. E’ piena di monitor collegati ad altrettante telecamere – ne hanno alcune dedicate alle moto; riprendono infatti il passaggio delle stesse dal posteriore, così da poter inquadrare la targa. Queste telecamere sono inoltre dotate di radar che misura la velocità; la pistola laser, infatti, non è sempre funzionale quando si tratta di colpire una moto, a causa della sua ridotta sagoma, rispetto ad una auto.
Il panorama non offre granché, e proseguo la marcia direzione ovest su di un ottimo asfalto, direzione l’Ucraina.
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Alla frontiera i controlli sono rapidi, specie nella parte ucraina, dove un gentile poliziotto mi prende in consegna per accelerare il disbrigo delle pratiche burocratiche (comunque ridotte all’osso).
E’ sempre piacevole entrare in Ucraina provenienti dalla Russia; gli ucraini paiono più civili e moderni, sorridono di più, i cartelli stradali non sono solo in cirillico, vi è facilità ovunque di cambiare moneta in valuta locale e fare rifornimento di carburante non è una questione di stato. 
Ora che il GPS riconosce la cartografia digitalizzata, si sbizzarrisce e mi manda dove vuole lui. 
Ovviamente non lo bado, se non seguire quello che dice la cartina e la bussola.
Punto verso il Mare d’Azov, che poi è la parte superiore del Mar Nero e mi fermo a Berdianski, famosa – dicono – per i suoi stabilimenti termali.
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E’ pieno di russi che si abbrustoliscono al sole, l’aspetto della città è comunque sottotono, sporca, disordinata e mi da l’idea di una città dove si possono trascorrere vacanze dal sapore “fantozziano”
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Molte le bancarelle che vendono pesce essiccato e non …
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... ed assisto ad un bel tramonto ...
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Anche questa notte il Lenin veglierà su di me ...
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La tappa di oggi:
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				Domenica 17 Giugno 2012
Berdianski (UA) – Yalta (UA)
455 km.
Partenza all’alba, punto prima ad ovest e poi, all’altezza di Melitopol, verso sud, direzione la Crimea.
E’ domenica, c’è molto traffico, forse vacanzieri – tra cui tanti russi, riconoscibili dalla loro guida prepotente. Le stazioni di servizio sono funzionali e simili a quelle occidentali, se non migliori; in una di queste ho trovato addirittura cappuccino e brioches alla crema!
I prezzi sono inoltre irrisori, se paragonati all’occidente. Come già detto, la gente è inoltre educata, sorridente, gentile e molti parlano inglese, o almeno si sforzano.
Arrivo a Yalta nel primo pomeriggio e rivedo il Mar Nero (e pensare che la settimana precedente ero giusto dall’altra parte!)
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Città turistica, estremamente pulita e ben curata, piena di bancarelle
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bei palazzi
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ed accessori
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Queste ragazze pubblicizzavano, credo, uno spettacolo teatrale e sono rimaste sotto il sole cocente sino alla sera.
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Lenin non mi abbandona mai …
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La tappa di oggi:
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				Lunedì 18 Giugno 2012
Yalta (UA) – Odessa (UA)
640 km.
Tappa di oggi veloce, per uscire dalla Crimea e dirigermi ad Odessa. Asfalto ottimo, splendida vista sul Mar Nero e sul promontorio alla mia destra.
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Incontro molti più motociclisti, tutti russi ma tutti antipatici:angry: 
Se li incroci per strada no salutano, alle stazioni di rifornimento si girano dall’altra parte per non correre il rischio di incrociare lo sguardo.
Mi fermo presso un albergo – ottima scelta … 
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… se non fosse per l’ambiente kitsch ...
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Più che un albergo, pare un villaggio vacanze buono per tutte le tasche, sono infatti disponibili mini alloggi ...
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... oltreché anguste celle vista mare …
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La tappa di oggi:
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				Martedì 19 Giugno 2012
Odessa (UA) – periferia di Bucarest (ROM)
579 km.
Appena sveglio decido di cambiare itinerario; secondo quanto pianificato, oggi avrei dovuto continuare a costeggiare il Mar Nero e raggiungere Costanza, in Romania. 
Voglio invece percorrere la strada Transfargarasan, nei Carpazi rumeni, ma – non potendola raggiungere oggi – cercherò di avvicinarmi più possibile.
Esco rapidamente da Odessa, puntando verso ovest lungo la E87. Dopo aver superato il fiume Dnister, si percorre un tratto di strada in territorio Moldavo, ma sotto controllo dell’Ucraina. 
All’ingresso del tratto (non più di 10 km.) viene consegnato un foglietto con indicata data e ora di ingresso; lo stesso viene poi restituito in uscita. Se il tempo trascorso in terra moldava, rientra in un certo lasso di tempo, non procedono a ulteriori controlli, altrimenti non saprei a quali noie si potrebbe incorrere.
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La strada percorsa è in mezzo al nulla. 
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Mi sto annoiando e, quindi, per entrare in Romania, scelgo comunque la strada più complicata, decido di passare per la Moldavia e la sua sciocca dogana. 
Le procedure sono infatti lunghe, sebbene dichiari subito di voler entrare in Romania e, quindi, sostare in Moldavia il meno possibile.
Devo inoltre pagare una ridicola tassa di ingresso (18 Leu = 1 euro!!!!!), non accettano euro, tantomeno la carta di credito e questo comporta cambiare i soldi ma non c’è comunque uno sportello bancario. Trovo per fortuna un ragazzo che ha lavorato in Italia e che mi cambia 5 euro. Oltre mezz’ora persa!
Il tratto da percorrere in terra moldava è fortunatamente breve (meno di 50 km.) ma in compenso le buche trovate sono tante e variegate. 
Al confine, in uscita, riescono anche qui a far perdere tempo alla gente – un bulgaro si spazientisce e, per punizione, viene rimandato in fondo alla fila. A me che sto zitto e buono, viene per fortuna riservato un trattamento di favore; posso scavalcare la fila delle auto in sosta e le procedure per uscire dal Paese si chiudono in 10 minuti.
Entrato in Romania, mi dirigo a sud verso Galati e poi Slobozia dove intercetto l’autostrada, e finalmente riassaporo la velocità di 130 km/h.
Proseguo verso est, direzione Bucarest, che ho già visitato in passato e quindi decido di cortocircuitare sfruttando la circonvallazione sud. La circonvallazione è in pieno rifacimento, l’attuale strada a doppio senso di circolazione, forse diventerà una superstrada – di fatto, ora mi si presenta con una fila interminabile di TIR (lunga oltre 4 chilometri) che io, diligentemente, supero. 
I camionisti mi agevolano nell’operazione, allargandosi alla loro destra, mentre invece gli automobilisti vengono stretti e costretti a frenate da brivido. L’unico rischio, è costituito dagli innumerevoli venditori ambulanti che sostano in mezzo alla strada, per vendere qualcosa ai camionisti fermi in fila.
Si è fatto tardi e sono distrutto dal caldo e dalla tensione accumulata dalla guida, mi fermo al primo motel che trovo per strada, poco dopo Bucarest.
La tappa di oggi:
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				Mercoledì 20 Giugno 2012
periferia di Bucarest (ROM) – Kiskunfélegyháza (HUN)
738 km.
La mattina, all’atto di pagare la stanza, l’albergatore riesce a farmi girare le balle; il conto mi pare infatti stranamente salato (dovrebbe essere pari ad un pernotto più una cena). 
Controllo per bene e mi ritrovo addebitate due cene, chiedo quindi di vedere la firma sul conto, una delle due non è palesemente la mia, ma lui che ha fatto la notte – non sapendo a chi addebitarla e dovendo comunque far quadrare i conti – pensa bene di farla pagare a me. Capisce che mi sto arrabbiando e poi corregge il conto.
Tappa noiosa quella di ieri, mi potrò rifare oggi percorrendo la Transfargarasan, e transitare dunque per i Carpazi meridionali.
Non sarebbe corretto dire che la Transfargarasan è famosa, solo perché teatro di una puntata di Top Gear, di fatto la trasmissione inglese le ha dato maggiore visibilità, almeno a noi “occidentali” che da queste parti non ci passiamo spesso. 
Niente da paragonare tuttavia, con le strade alpine austriache; scordatevi gli asfalti da biliardo del Großglockner, i posti ristoro della Nockalmstrasse e i prati fioriti della Silvretta Hochalpenstrasse, la Transfargarasan è proprio una strada rumena, paragonabile alla sua famosa zuppa acida (ciorbă) – "gnorante" al punto giusto e, per questo, non meno affascinate e gradevolissima da percorrere.
Sono salito da sud, quindi lato diga per intenderci – la parte con l’asfalto più rovinato; credo che percorrendola da nord a sud sia però più pagante. Qui siamo sulla diga ...
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Il “pulciuoso” di turno difende strenuamente il tozzo di pane guadagnato dopo una notte passata di guardia!
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La giornata è fresca e splendente ...
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Qui si sale ancora dal lato sud
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La neve si scioglie e i rigagnoli sono e vere e proprie cascate di acqua
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Raggiunta quasi la cima, trovo ad aspettarmi – maestoso – questo splendido cavallo bianco …
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L’asfalto non è perfetto, ma è privo di grosse buche e di pietre. Ad un certo punto sento una botta sull’anteriore; mi arrabbio con me stesso per non aver visto la pietra che evidentemente era in mezzo la strada. Poi mi viene un atroce dubbio, guardo nello specchietto e … ma quella non era una pietra!!!!!!!!!!!!
Era la telecamera montata sul davanti che staccatasi è andata a finire sotto la ruota anteriore. Riesco a recuperare la SD che, per fortuna, è integra.
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L’inverno deve essere stato duro …
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Una volta arrivato in cima, mi delizio con un salsicciotto annegato da patate fritte …
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Qui la vista sulla strada che scende a valle
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Scendendo trovo un asfalto migliore, come pure la segnaletica orizzontale. Ho incontrato parecchi motociclisti, polacchi e cechi ma nessun italiano.
Riprendo il viaggio, direzione Ungheria; il caldo e sempre presente ed asfissiante come pure i numerosissimi TIR. Questi hanno il divieto di sorpasso e formano lunghissime colonne, difficili e pericolose da sorpassare, specie per me che, dirigendomi ad ovest, ho il sole in faccia. 
Mi fermo spessissimo per rinfrescarmi e bere litri di bevande al the. Anche i cani sono distrutti dal caldo...
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Supero il confine con l’Ungheria, una formalità e mi metto alla ricerca di un albergo, affidandomi ai consigli del GPS.
Ne trovo uno in mezzo alla campagna, sono le 7 di sera e ci sono ancora 32°, chiedo espressamente una camera con aria condizionata – la ragazza alla reception mi dice che non ci sono problemi ma devo raggiungere le stanze al terzo piano. 
L’ascensore non esiste, ma mi sobbarco felicemente la scarpinata di portare i bagagli al terzo piano, confidando in una stanza fresca ed una sana doccia. In camera ci saranno 50°, e manca il telecomando dell’aria condizionata che ovviamente non mi è stato consegnato:mad:, torno giù (e già mi girano le balle), mi faccio dare il telecomando, torno su (sempre a piedi e sempre con la tuta addosso) e, ovviamente, scopro che l’aria condizionata non funziona:mad::mad:
Torno allora nuovamente giù (e la rotazione delle balle aumenta), mi assegnano una nuova camera, prendo la chiave, torno su, sposto i bagagli, entro nella nuova stanza (questa volta con il telecomando in mano) ma, anche qui, l’aria condizionata non funziona:mad::mad::mad:
Aritorno giù, spinto dalla propulsione delle mie balle che girano vorticosamente; niente da fare le stanze con aria condizionata sono finite! Game over. Decido di cambiare albergo ma i borsoni e il casco sono rimasti al terzo piano. Ari-aritorno su, prendo i bagagli, e ricarico la moto con la ragazza che si sorprende del fatto che abbia deciso di andarmene; mi sorprendo più io del fatto che abbia deciso di non mangiarmela viva!  
 
Sfinito mi rimetto in moto, interrogo nuovamente il GPS alla ricerca di un nuovo albergo; il prossimo che trovo è pieno, quello successivo non ha l’aria condizionata (e ora la voglio a tutti i costi!), poi, come d’incanto, ne trovo uno nuovo di pacca, economicissimo, pulitissimo, gestito da un ungherese emigrato per anni in Germania e che parla pure inglese. Una favola! 
Unica pecca, il nome impronunciabile del paese dove si trova: Kiskunfélegyháza!
La tappa di oggi:
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				Giovedì 21 Giugno 2012
Kiskunfélegyháza (HUN) – Casa (ITA)
779 km.
Tappa conclusiva del viaggio, un rapida tirata verso casa. 
Passo lungo la circonvallazione di Budapest, veloce e tutto sommato poco trafficata. Ricordo che nel 2010, provenendo dall’Ucraina – quindi da est – si era costretti a transitare lungo la periferia della capitale, dove il traffico era molto più intenso.
Superato il lago di Balaton, in un baleno mi trovo in Slovenia; ultimo “brivido” del viaggio la polizia slovena che controlla il possesso della vignetta autostradale e che io ho diligentemente acquistato.
Nel primo pomeriggio sono a casa, stanco (10.000 km. in meno di tre settimane) ma felice di aver avuto la fortuna di compiere un altro dei miei viaggi. 
La tappa di oggi:
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				Qualche considerazione finale, ripercorrendo velocemente i maggiori Paesi visitati:
Turchia: partendo dal nord Italia, in due giorni si è ad Istanbul. La Turchia è enorme, più la conosco e più la trovo interessante. Con il passare degli anni, le pratiche burocratiche per entrare si snelliscono sempre di più. Peccato l’enorme costo della benzina, che incide di molto sulla spesa totale del viaggio.
Georgia: Paese dai mille volti. Gente dal carattere forte. Tbilisi gradevolissima da visitare, forse meno da abitare.
Armenia: wow! la sua visita vale il viaggio. Yerevan, capitale cosmopolita. Gente squisita.
Nagorno: nulla di speciale. Un giorno di visita basta ed avanza. Stepanakert una mezza delusione.
Russia: è evidente che la conosco troppo poco, ma non riesco ancora a farmela piacere. Nei miei giudizi, do molto peso ai rapporti interpersonali e, qui, non sono facili da allacciare, specie quando sei un turista (o mototurista) ed hai poco tempo a disposizione.
Ucraina: nel prossimo viaggio vi dedicherò più tempo. Mi piace sempre di più.
Per quanto attiene le spese, tenuto conto i 10.250 km. percorsi, ho speso un totale di 2000 euro, così ripartiti;
- benzina 610;
- autostrade varie 50;
- pernotto 760;
- vitto 250;
- varie (taxi, musei, mance) 170;
- visto Madre Russia 160;
Ecco i prezzi della benzina, nei paesi attraversati:
SLOVENIA   1.47 €
CROAZIA    (10,5 HRK)   1,42 €
SERBIA    (162 RSD)   1,41 €
BULGARIA   (2,53 BGN)   1,29 €
GRECIA    1,74 €   
TURCHIA    (4,3 TRY)   1,84 €
GEORGIA    (21,5 GEL)   0,58 €
ARMENIA    (520 AMD)   1,00 €
RUSSIA    (28,5 RUB)   0,70 €
UCRAINA    (12 UAH) 1,14 €
ROMANIA    (5,8 RON)   1,28 €
UNGHERIA   (438 HUF) 1,55 €
Inutile dire che più si va ad est e meno si paga la benzina. Siamo lontani dai 0,28 € pagati in Iran, per non parlare dei 0,20 € in Turkmenistan, ma non ci si può lamentare