Giovedì 14 Giugno 2012
Kazbegi (GEO) – Elista (RUS)
297 km.
Il molosso georgiano del padrone di casa che ha fatto la guardia alla mia moto. Anche lui, e le sue pulci, si sono guadagnati una dose di coccole extra!

Dopo aver fatto colazione con gli amici georgiani/lituani, alle 7 sono già per strada. Ben presto arrivo al confine georgiano; struttura moderna ed efficiente (siamo nei pressi del passo di Darial).

Vengo accolto con un largo sorriso, controlli rapidi, di routine, e vengo lasciato passare.
Dopo qualche chilometro, percorso nella terra di nessuno, arrivo al confine russo di Verkhniy Lars, trovo un cancello sbarrato dove non c’è nessuno a presidiarlo – mi avvicino e mi si gela il sangue!
Poco più in la intravedo infatti, i due motociclisti polacchi visti il pomeriggio precedente, fermi ai lati delle loro rispettive moto. Che ci fanno ancora qui? Ma allora non li hanno fatti passare?
Nel frattempo il cancello, evidentemente comandato a distanza si apre, entro con la moto, dopo un centinaio di metri mi fermo al primo gabbiotto (qui sorridono di meno) ed inizia il controllo dei documenti (buon segno…), il visto viene controllato e ricontrollato mille volte. Tutte le pagine del passaporto vengono contate, quasi ad accertarsi che non ne manchi qualcuna.
I polacchi, nel frattempo, sono spariti dalla mia vista – è evidente che hanno quindi passato la notte nei paraggi.
Il controllo doganale è effettuato da una giovane poliziotta che, una volta vista la mia nazionalità, continua a ripetere che l’Italia è bellissima – i controlli sono velocissimi, lei stessa si incarica di compilare il modulo per la moto.
Esco dal posto di frontiera e finalmente realizzo che il confine è proprio aperto!
La meta è raggiunta ed ora si torna a casa – non subito, ma da ora in poi considero la strada che percorrerò, come quella del ritorno.
Sono entrato in Russia, ma in realtà mi trovo nel mezzo dell’Ossezia del Nord (Repubblica autonoma della Russia); raggiungo facilmente la capitale Vladikavkaz e noto molte bandiere delle Repubblica, in luogo di quella russa.
Molte macchine hanno anche una targa diversa, riportante la sigla RSO (Respublika Severnaia Osetiya-Alaniya); è evidente che qui l’autonomia da Mosca è più sentita.
Proseguo lungo la M29, direzione di Beslan, e lo stomaco mi si contrae; sono infatti alla ricerca della scuola pubblica che nel settembre 2004 venne tenuta in ostaggio da parte di un gruppo di guerriglieri ceceni.
Un totale di 1127 tra bambini, insegnati e genitori trascorse tre lunghi giorni all’interno della scuola; 334 persone persero la vita (di questi, 186 bambini), oltre a 11 poliziotti e 31 sequestratori.
Trovare la scuola non è facile. Chiedo ripetutamente in giro; o non riesco a farmi comprendere o l’avvenimento è tanto triste che la gente preferisce non pensarci. Alla fine, trovo una signora di mezza età, sorridente – fino a quando non gli chiedo della scuola; allora si incupisce, abbassa la testa e mi indica la direzione da prendere.

La gioia per aver trovato il confine aperto ha lasciato il posto ad una profonda tristezza – entrare nella scuola e vedere le foto dei bambini appese al muro non è facile.

Definirla una strage è forse riduttivo; una mente malata non avrebbe mai potuto ordire un simile gesto.

L’attacco è stato infatti voluto, pianificato, e non da un singolo, ma da un gruppo – la scelta della scuola non è stata casuale, è servita per ampliare il messaggio, un messaggio di orrore e di dolore.

Correttamente le autorità locali hanno deciso di onorare il luogo, inglobandola struttura in un mausoleo di vetro.
E prevedendo di costruire, nei paraggi, una chiesa.

Il caldo è asfissiante, riprendo il mio percorso e faccio subito la conoscenza con la polizia russa.
Appostati dietro un albero, mi fermano e mi contestano di aver superato un’auto in un tratto di strada dove vige il divieto – a me non pare, ricordo di aver superato l’auto ma, appena visto il cartello, sono rientrato nella mia carreggiata. La fortuna è dalla mia parte, hanno infatti ripreso la scena con una telecamera – il tempo di riavvolgere il nastro e sono costretti a darmi ragione (naga 1 – polizia russa 0).
Passo vicino alla città di Nalchik, capitale della repubblica autonoma della Cabardino-Balcaria, lambisco la repubblica autonoma di Karacaj-Circassa e passo non distante dalla città di Stavropol, capitale della repubblica autonoma del Territorio di Stavropol. Non noto alcuna particolarità che distingua questi luoghi dalla Madre Russia; forse, la loro autonomia, è un fatto meramente amministrativo.
Di tanto in tanto incontro qualcuno che mi chiede da dove vengo e dove sono diretto; la prima diffidenza iniziale, si scioglie quasi subito con un sorriso.

La diffidenza russa è comunque proverbiale e credo abbiano grossi problemi correlati con la sicurezza.
Come al solito, in molte stazioni di servizio, l’erogazione del carburante avviene solo dopo aver pagato il dovuto all’omino di turno, asserragliato nella sua cassa (ΠACCA in russo, che a me fa tanto ridere…), protetto da sbarre di ferro e telecamera. La cosa mi da molta noia; calcolare quanti litri di benzina possano entrare nel serbatoio e quindi il prezzo da pagare non è sempre immediato, specie quando hai bisogno del resto.
Nel mio precedente viaggio in Russia, avevo memorizzato il gesto da compiere all'indirizzo dell’addetto nascosto nella ΠACCA, per poter fare prima il pieno e poi pagare – consiste nel passare ripetutamente la mano a pochi centimetri dalla testa (come a dire “pieno fino all’orlo”). Non sempre questo è tuttavia accettato e, in qualche occasione, sono stato costretto ad andare alla ricerca di un’altra stazione di servizio.
Anche i dispenser di bibite ghiacciate presenti nelle stazioni di servizio, e che si trovano all’esterno del gabbiotto, pare siano l’obiettivo prediletto dei ladri. Hanno infatti lo sportello chiuso e l’apertura avviene, con comando elettrico solo dall’interno, dopo aver pagato.
La strada è a tratti deserta, e costeggia lunghe distese di nulla …

Mano a mano che proseguo il viaggio, incontro persone dai tratti somatici orientali, sono infatti entrato nella Repubblica autonoma della Calmucchia, la cui capitale Elista la raggiungo nel pomeriggio.

I calmucchi sono un popolo di origine Mongola che vive nella Russia europea da molti anni, professano il buddismo, unico caso in tutta l’Europa.
Mi metto alla ricerca di un albergo, il primo che trovo è pressoché pieno, ma con un po’ di pazienza riuscirebbero a trovarmi una stanza; mi comunicano il prezzo: 125 euro!
Inizio a ridere a crepapelle, poi temendo di aver capito male (l’albergo non ne vale assolutamente) mi faccio ripetere il prezzo in Dollari, ma scopro di aver capito bene. Esco dalla hall ridendo come un matto.
Placco un tassista e per qualche rublo gli chiedo di accompagnarmi presso un altro albergo, che troviamo subito, per giunta vicino al centro città.
Strana città Elista, con tutte queste persone dai tratti somatici orientaleggianti. C’è anche qualche “russo originale”, non vedo tuttavia coppie miste e (guarda caso!) la polizia è … inequivocabilmente russa (forse Mosca li manda qui da altre regioni del Paese).
La città è piena di templi e templetti buddisti






Ma la statua di Lenin non manca mai …

La tappa di oggi:
