Topic: giro del mar nero  (Read 11277 times)


panda

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« Reply #15 on: 24 September 2012, 12:56:46 PM »
Riesco a scovare la minuscola chiesa di Katoghike del XIII secolo, nascosta dagli alti palazzi circostanti ...





La gente sorride, è educata, ben vestita – faccio fatica a pensare di trovarmi in Armenia – è evidente che questa non è la “vera” Armenia, e mi reputo fortunato di poter vedere altro, oltre a questa capitale cosmopolita, pulita, in ordine, ma non troppo diversa da una qualsiasi capitale europea. Arrivo in Piazza della Repubblica (Hanrapetutyan Hraparak) …



… e visito il monumentale Museo Statale della Storia Armena



Interessantissimo, specie la sezione riguardante il genocidio armeno – l’illustrazione del genocidio è chiara, senza un particolare astio nei confronti dei turchi e documenta, al di la degli evidenti fatti (oltre 1.000.000, i morti), il chiaro e premeditato disegno politico turco spinto dall’ideologia espansionistica del “panturchismo” (cito Treccani “movimento tendente a promuovere l’unità culturale e politica fra tutti i popoli di lingua turca”).

L’impressione e che gli armeni abbiano, loro malgrado, accettato il genocidio come un triste capitolo della loro storia; ora ciò che non tollerano è l’atteggiamento negazionista della Turchia.

Non chiedono vendetta, ma il solo giusto riconoscimento.

panda

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« Reply #16 on: 24 September 2012, 12:58:17 PM »
Sabato 9 Giugno 2012
Yerevan (ARM) – Stepanakert (NKR)
397 km.

La sveglia me la da mia moglie che con uno stringato sms mi informa che a Pordenone si è avvertito il terremoto – con il pensiero a quello che era capitato in Emilia – mi allarmo subito ma un ulteriore rapido scambio ti messaggini mi tranquillizza.

L’uscita da Yerevan è agevolata dal fatto che mi trovo già a sud della stessa, la cartografia digitale del GPS non mi aiuta e mi affido quindi alla sua bussola; direzione il Monastero di Khor Virap, splendido nella sua architettura, ancora di più per la sua posizione fronte il monte Ararat.



E’ indubbio che il fascino di Khor Virap, venga esaltato dalla vista del monte Ararat – il Monastero pare rappresentare l’ultimo baluardo armeno, ora che il monte si trova in territorio turco, e continua a rappresentare, nei cuori degli armeni, il simbolo nazionale dell’Armenia. Ultima curiosità, per gli armeni Ararat significa “Creazione di Dio” per i turchi il suo nome significa invece “montagna del dolore”; questo la dice lunga sui diversi punti di vista…

Arrivo al Monastero piuttosto presto e riesco a godermelo in tutta tranquillità.



Una volta giunti sul posto, la visita delle Chiese di Surp Astvatsatsin e di San Karapet, ne vale proprio la pena.





Mi immetto nuovamente sulla M2 e punto decisamente verso est; la calura è infermale ma il passo di Vorotan con  i suoi quasi 2500 mt. mi rinfresca un poco.



La deviazione per il successivo Monastero di Tatev è più lunga rispetto a quella di Novarank, oltre 25 km., di cui gli ultimi 5 su strada sterrata in discreta pendenza. Una lunga serie di tornanti, da percorrere con attenzione per non scivolare ... :tongue:



Giunto in cima, scopro che – evidentemente da poco – è in funzione una funivia (chiamata “le ali di Tatev”) e che ai tanti turisti, evita la lunga salita in auto (ai bus non è comunque consentito salire, in quanto la strada è troppo stretta).






Come si dice … si è fatta “na certa” ed è ora che mi sbrighi a raggiungere il posto di frontiera con il Nagorno.

Ma poi sarà un posto di frontiera vero e proprio o semplicemente un posto di controllo?

La sana curiosità mi assale; una volta lasciatomi alle spalle Goris (l’ultimo grande abitato in Armenia prima del Nagorno) la strada è deserta; per chilometri e chilometri non incontro nessuno lungo ambedue i sensi di marcia.

Ad un certo punto, dopo un piccolo ponte ed una curva a gomito intravedo la caratteristica bandiera del Nagorno, uguale a quella armena tranne per un disegno bianco sul lato destro che (cito Wikipedia) “vuole sia richiamare i tipici disegni dei tappeti locali che rappresentare la separazione dall'Armenia”.



(PS = la bandiera del NKR è quella di destra, ma senza vento non riuscivo a farla sventolare!)

Apro una breve parentesi: non credo che la bandiera del Nagorno voglia rappresentare la separazione dall’Armenia – semmai dall’Azerbaijan, di cui territorialmente ne fa parte; sempre Wikipedia corregge infatti il tiro, riportando che la bandiera del Nagorno “allude più realisticamente alle divisione politica del paese da quella che è considerata la madrepatria”, cioè l’Armenia. Chiusa la parentesi.

Torniamo alla strada, arrivo al posto di controllo – senza sbarra ne reti che ne delimitano l’area; semplicemente un cartello che invita a fermarsi e mostrare, al poliziotto di turno, i documenti. Una rapida occhiata al visto sul passaporto e al lasciapassare e posso ripartire – al massimo avrò perso 30 secondi.

Prima di risalire in moto, noto una 206 con targa iraniana (in realtà le targhe sono due, quella originale più una dedicata agli escursionisti esteri che, evidentemente, viene loro rilasciata quando escono dal Paese) – ovviamente mi avvicino (sono attratto dagli iraniani !), la coppia di ragazzi a bordo sta studiando una mappa stradale, non con qualche perplessità.

Sono di rientro nel sud dell’Iran, dopo un viaggio in Turchia, Georgia e Armenia, e mi spiegano che non li lasciano entrare in Nagorno perché da qui non potrebbero raggiungere l’Iran, atteso che  di entrare in Azerbaijan non se ne parla proprio … tiro fuori la mia di mappa – che mi pare più aggiornata – e scopriamo assieme che devono ritornare indietro, verso l’Armenia e, a Goris puntare decisamente a sud.

Mi auguro gli sia andata bene ed abbiano ritrovato la strada per casa!

panda

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« Reply #17 on: 24 September 2012, 12:59:16 PM »
Mi rimetto in moto, poco più di 30 km. mi separano dalla capitale Stepanakert. Lungo la strada, incontro qualche monumento, chiaro riferimento alla vittoria sugli azeri.



Contrariamente a quanto riportato dalla mappa – la strada non è assolutamente diritta; mi trovo sui 900 mt. e la strada, fatta di curve e tornanti, tira sino a raggiungere i 1800 mt..

Ecco Stepanakert vista dall’alto.



Affaticato arrivo a Stepanakert, noto subito che c’è maggiore polizia in giro nonché molti camion militari.

Decido di non seguire il suggerimento della tizia della Rappresentanza del Nagorno a Yerevan e punto alla ricerca dell’albergo che avevo già individuato sulla guida; si rivelerà una scelta azzeccata (Hotel Nairi, moto all’aperto ma guardata a vista dal guardiano).

In albergo, oltre ad una coppia orientale, non c’è nessun altro – doccia rapida e via a piedi per la città, il cui centro dista poche centinaia di metri.
Ancora onore ai caduti della guerra





Chissà cosa dice il regolamento di condominio su come stendere i panni a Stepanakert …



La tappa di oggi:


panda

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« Reply #18 on: 24 September 2012, 13:01:44 PM »
Domenica 10 Giugno 2012
Stepanakert (NKR)

Sto diventando pigro, decido di visitare il Monastero di Gandzasar (del XIII secolo) ricorrendo ad un taxi, alla reception dell’albergo chiedo di trovarmene uno, con la speranza che l’autista parlicchi un po’ di inglese, così da poter scambiare due chiacchere e cercare di capire un po’ di più di questo strano posto che è il Nagorno.

Kamal è il nome dell’attempato signore a bordo del suo taxi, la guida è molto più prudente rispetto a quella di “professional” incontrato in Georgia – mi dice che ha combattuto la guerra contro gli azeri, non in prima linea, ma – quale meccanico – nelle retrovie. Non so se credergli, la cosa – detta ad un turista quale sono – mi appare fin troppo scontata.

Ci dirigiamo a nord e prima di raggiungere il Monastero, passiamo per l’abitato di Vank, citato nella guida per il suo caratteristico albergo



Poco dopo arriviamo al Monastero di Gandzasar



Nulla a che vedere con i monasteri armeni, ma ha del fascino … 



All’interno della chiesa di Surp Hovhannes Mkrtich si tiene un battesimo



All’esterno enormi gelsi



Se mai vi chiedeste come è possibile identificare una chiesa armena, cercate al suo interno o nei paraggi uno o più khachkar; trattasi di cippi funerari scolpiti su pietra, quasi sempre a forma di croce (raramente rappresentano un crocifisso) dall’alto valore simbolico, non solo religioso.


Rientrando verso Stepanakert, Kamal, molto gentile, insiste per offrirmi un caffè. Spero mi ospiti in un locale tipico – finiamo purtroppo in un’area dedicata ad un parco giochi, con un albergo dalla dubbia architettura ed adornato da una mega statua di una tigre scavata nella roccia.






Rientrato in albergo, prendo la moto per completare la visita della città e vado alla ricerca di quello che è considerato essere il simbolo del Nagorno, il Tatik yev Papik (il nonno e la nonna), anche conosciuto come “Siamo le nostre montagne”.

La delusione è forte, lo trovo infatti in fase di restauro, e le impalcature non gli donano affatto...





E’ domenica, e contrariamente a quanto riportato nella guida, il Museo Statale è chiuso; non mi resta quindi da visitare dall’esterno (anche questo è infatti chiuso) il Museo dei Soldati Caduti durante la guerra contro l’Azerbaijan.

Interessanti le armi, costruite in modo artigianale, con le quali è stato affrontato il ben più equipaggiato esercito azero (a sua volta supportato dalla Turchia).

Questi sono un cannone artigianale,



una piastra lanciarazzi



e altro cannone, fabbricato alla meno peggio;



dubito fortemente circa la loro precisione, ma visto il risultato finale, devono essere serviti al loro scopo....

Considerazioni conclusive sul Nagorno.

Mi aspettavo di meglio, Stepanakert (specie di domenica) non offre nulla di particolare, tanto da giustificare il viaggio. Sicuramente più interessante, dal punto di vista paesaggistico, l’area a nord – e per chi ama il brivido, avvicinarsi alla linea del cessate il fuoco (comunque vietatissimo), può rappresentare un fattore in più.

Secondo me, si può ridurre la visita ad un giorno solo.

Basta ed avanza.

panda

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« Reply #19 on: 24 September 2012, 13:03:14 PM »
Lunedì 11 Giugno 2012
Stepanakert (NKR)- Tbilisi (GEO)
585 km.

Oggi voglio raggiungere Tbilisi, capitale della Georgia, i chilometri non sono pochi (poco meno di 600), le cose da vedere lungo il percorso sono tante, ma non mi preoccupa arrivare sul tardi, avrò infatti tutta la giornata di martedì per visitare con calma la città.

Riprendo la strada verso il “confine” con l’Armenia, la temperatura è fresca ed è un piacere viaggiare; arrivato al posto di controllo una rapida stretta di mano e via, non prima di aver riconsegnato il lasciapassare che ho, senza successo, chiesto di poter conservare per ricordo.

Lungo la strada percorsa due giorni prima, dopo essere ripassato per il Passo di Vorotan (freddino…) arrivo a Getap e punto a nord lungo la M10, direzione il Lago di Sevan che raggiungo dopo aver superato un altro passo (quello di Vayots, 2400 mt., anche qui freddino...).



Lungo la strada, parzialmente nascosto da una curva, trovo il Caravanserraglio di Selim (del 1300), costruito in un periodo, nel quale la Via della Seta tra Iran e Europa passava da queste parti.



Nulla a che vedere con i caravanserragli in terra persiana – quelli visti in Iran sono ben più grandi, in grado di ospitare, oltre ai cammellieri e le bestie, anche le provviste.

Giungo a Martuni, ed inizio a costeggiare la sponda occidentale del Lago di Sevan, e mi dedico ad una veloce visita al Monastero di Hayravank (del 1100) che sorge su di un promontorio,



A mio parere, ben più imponente di quanto la guida lasci supporre. Gli interni del monastero ...



e la vista sul lago di un bellissimo azzurro



a terra, incastonato nella roccia, ho trovato questo



se fossimo in Italia, azzarderei nel dire che è un punto trigonometrico. Tutto attorno è un fiorire di colori ...

Prima di passare al secondo Monastero, quello di Haghpat, poco distante – mi fermo a visitare la parte esterna del Museo Mikoyan, dedicato ai due fratelli nati proprio a Sanahin; uno dei due Artëm Ivanovič, è niente popò di meno colui il quale, assieme ad un altro compatriota – Michail Iosifovič Gurevič – ha fondato la Mikoyan-Gurevich, meglio nota come MiG;



peccato che non ci possa salire sopra!

Giungo al Monastero di Haghapat, anche lui vecchio di mille anni, ma meglio conservato e valorizzato; nel tempo divenuto un vero e proprio complesso monastico con chiesa, torre campanaria, biblioteca e refettorio.



















Mi rimetto in moto, c’è ancora un po’ di strada da fare.

Arrivo alla frontiera (Sadakhto – Bagratashen) con la Georgia. Le procedure per uscire ed entrare sono rapidissime, specie dalla parte georgiana, specie quando vedono – dai timbri sul passaporto – che ero già entrato/uscito nel Paese in settimana.

Non posso fare a meno di voltarmi indietro e lanciare il mio ultimo sguardo all’Armenia; a parte le buche per le strade (alle quali, ci si abitua), ne conserverò un gradevolissimo ricordo. Gente ospitale, educata, sempre sorridente. Su tutto, mi ha colpito il contrasto (forse eccessivo) della capitale Yerevan, con il resto del Paese, come pure l’atteggiamento di "apertura" verso il genocidio armeno.

Difficile la vita per l’Armenia, qui nelle alte montagne del Caucaso, con il rischio di restare isolati dal mondo; con due – sui quattro Paesi confinanti – con i quali non ha allacciato salde relazioni diplomatiche (Turchia e Azerbaijan), con il “peso” ingombrante del Nagorno, oltre a quello dell’enclave azera del Naxcivan.

E’ proprio il caso di dire che in terra armena, più che in ogni altra parte della regione, l’”equilibrio è instabile”.

La tappa di oggi:


panda

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« Reply #20 on: 24 September 2012, 13:04:40 PM »
Scorci della città vecchia, con qualche pezzo di strana, ma gradevole, architettura













Il Parlamento



Piazza della Libertà con la statua di San Giorgio





L’interessantissimo Museo della Georgia, in particolare l’ala dedicata all’occupazione russa; una mappa, su tutto, lascia intendere cosa ne pensino, al riguardo, i georgiani (… l’occupazione continua)



Un enorme ponte pedonale sul fiume Mtkavari, pare costato una cifra sproporzionata.





Dall’alto del fiume intravedo due moto, parcheggiate davanti ad un albergo, cariche di bagagli e pneumatici di riserva.

Sono i primi motociclisti che incontro da quando sono partito, non faccio in tempo a scendere che sono già ripartiti!; non posso quindi sapere chi siano e soprattutto dove vanno o da dove arrivano … ma con quei tassellati una mezza idea ce l’ho....Ancora qualche pezzo particolare













Considerazioni su Tbilisi: come per Yerevan, è spropositato il contrasto con il resto del Paese ma anche all’interno della stessa città. Estremamente puliti i suoi viali, ma nei sottopassaggi e nei cortili della case la puzza di urina e la sporcizia è impressionante. 

In molti esercizi commerciali  è addirittura possibile pagare con tecnologia applicata a telefonino ma, per contro, si trovano numerose mini bancarelle che vendono a pochissimi lari (ma la gente tratta comunque il prezzo) semi di noccioline, sigarette al pezzo singolo, piantine di fiori su fondi di bottiglia di plastica ed addirittura bottoni usati!

Nei numerosissimi sottopassaggi (i viali sono larghi e le strisce pedonali sono pressoché assenti) c’è poi un microcosmo a parte; pieno di ambulanti e mini negozi che offrono i servizi più disparati a prezzi irrisori (almeno per noi turisti).



La città è inoltre piena di macchinette mangia soldi per strada, in molti tentano infatti la fortuna.

A nanna, domani si va verso il confine russo!

panda

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« Reply #21 on: 24 September 2012, 13:05:16 PM »
Mercoledì 13 Giugno 2012
Tbilisi (GEO) – Kazbegi (GEO)
173 km.

Di nuovo in sella, puntando decisamente a nord. L’uscita da Tbilisi è agevole, anche qui mi aiuta molto il fiume Mtkvari e la bussola del GPS.

Ben presto arrivo a Mtskheta, già capitale del regno di Georgia attorno al IV secolo, luogo ove i georgiani si convertirono al Cristianesimo e città in cui ha sede la Chiesa ortodossa e apostolica georgiana. Al pari della città santa di Echmiadzin, vicino a Yerevan in Armenia, Mtskheta è dunque un luogo sacro per i georgiani.



Limito la mia visita alla cattedrale di Svetitskhoveli, maestosa nella sua architettura.





Ritorno sui miei passi e trovo ad aspettarmi il custode al quale avevo lasciato in affidamento la moto, e al quale riservo qualche coccola …



La voglia di percorre la famosa Strada Militare Georgiana è molta e quindi mi rimetto presto in marcia.

La strada è lunga poco più di 200 km. e collega Tbilisi con Vladikavkaz, capitale dell’Ossezia del Nord in Russia. Costruita dai russi nei primi dell’800, è stata ultimata nel 1860, con soluzioni architettoniche all’avanguardia per l’epoca; ponti in ferro, tratti con due corsie per senso di marcia – il tutto con materiali fatti per resistere alle alte quote (Passo di Jvari di circa 2400 mt.) e, quindi, ai geli invernali.

Contrariamente a quanto si pensa, la Strada Militare Georgiana non è stata utilizzata durante il conflitto tra Russia e Georgia nel 2008, in quanto i russi, per entrare in Ossezia del Sud, hanno utilizzato la Strada Militare Osseta, che si trova più ad ovest di quella georgiana.

Lungo la strada che, lentamente ma inesorabilmente continua a salire, incontro la cittadella fortificata di Anuri e visito velocemente la Chiesa dell’Assunzione





La strada è, tutto sommato, in buoni condizioni, ad eccezione di un tratto non asfaltato di circa 15 km. dopo Gadauri. Il traffico è scarso, pochissimi turisti, peraltro solo russi o locali.

Giunto al Passo di Jvari (mt. 2380, il punto più alto della strada), mi fermo in questo coloratissimo anfiteatro



Dal quale si gode uno stupendo panorama



A sud la valle ...



... mentre a nord si erige maestoso, in secondo piano, il monte Kazbek ...



Ripresa la salita, vedo provenire da nord due motociclisti su BMW – faccio quasi fatica a fermarli, mi devo mettere in mezzo la strada, altrimenti avrebbero proseguito diritto!

Sono inglesi (ecco spiegato il tutto!) gli chiedo se provengono dalla Russia e se sono quindi riusciti a varcare il confine; mi dicono di no, non hanno previsto di varcare il confine e sono stupiti dalla mia domanda.

Gli spiego allora che a seguito della guerra del 2008, la frontiera tra Russia e Georgia è stata chiusa ai cittadini non-CSI; da poco la frontiera dovrebbe essere stata riaperta a tutti, da qui la mia domanda.

Mi guardano allibiti e mi rendo conto che girano a vuoto; come si fa a visitare un Paese come la Georgia (ma il discorso vale per tutti) e non conoscerne la storia, alemno quella recente?

Ancora una volta mi viene in mente il film “I due nemici” laddove un grande Alberto Sordi fa notare all’inglesissimo David Niven che “i nostri compatrioti costruivano le fognature quando gli inglesi si dipingevano ancora la faccia di blu”! Ahahahahah!

La mia potrà essere scambiata per presunzione; ritengo invece che presentarsi in un Paese non conoscendone la storia, la cultura e le tradizioni, costituisca un atto arrogante.

Poco più avanti, una formazione rocciosa calcarea, dalla quale sgorga un’acqua rossastra.


panda

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« Reply #22 on: 24 September 2012, 13:05:49 PM »
Arrivo a Kazbegi, ultimo centro abitato in terra georgiana, prima del confine, e dove ho previsto di passare la notte. Mi metto alla ricerca di un alloggio; l’albergo in piazza è pieno di turisti inglesi (anche qui!) arrivati per scalare le montagne circostanti (il monte Kazbek è alto ben 5000 mt., tra le cime più alte della catena montuosa del Caucaso).

Non faccio a tempo ad uscire dall’albergo che vengo avvicinato da un simpatico omaccione che per un prezzo accettabilissimo, mi offre alloggio, cena, colazione e visita al Monastero di Tsminda Sameba.

Mi scorta quindi a casa sua, da poco adibita a guesthouse dove trovo altri turisti, una coppia di lituani accompagnati da tre georgiani, esperti scalatori del monte Kazbek.

Il tempo di cambiarmi e ci avventuriamo lungo la ripida e disastrata strada che porta al Monastero di Tsminda Sameba; sarebbe stato per me e per la mia RT, impossibile raggiungere la vetta.

Il tragitto per raggiungere il Monastero è tutt’altro che breve – ben oltre mezz’ora con la povera Lada che sobbalza ad ogni buca. Molti i turisti che si avventurano a piedi; avendo a disposizione più tempo, questo è forse una buona alternativa per raggiungere il Monastero.











Dopo la visita torniamo indietro, Josep (questo è il nome dell’autista e padrone di casa) mi conferma che il confine è aperto, almeno a quanto gli sia dato da sapere. La settimana precedente ha ospitato quattro motociclisti rumeni che non ha visto ritornare indietro; da qui la deduzione che il confine non sia chiuso.

Mi faccio lasciare nella piazza della città e vedo sfrecciare i due motociclisti, le cui moto avevo visto parcheggiate a Tbilisi il giorno prima; non riesco a farmi notare e quindi a fermarli, ma riesco a vedere le targhe (sono due polacchi), sono diretti verso il confine e, in cuor mio, spero di non rivederli tornare indietro!

Rientro alla guesthouse, poco prima di cena, e mi dedico ad un rapido controllo della moto, la parte anteriore è tappezzata di insetti vari ...



La sera ci ritroviamo tutti attorno al tavolo; gli escursionisti fremono per partire, la scalata del monte Kazbeg non è semplicissima – necessita di almeno tre giorni, due dei quali di ambientamento di alta quota.

I ragazzi georgiani che scortano i due lituani, sono i titolari di una agenzia di viaggio di Tbilisi che organizza viaggi ed escursioni per i turisti.

Il discorso cade inevitabilmente sui fatti della recente guerra (agosto 2008); mi raccontano di come sia stato estremamente difficile per loro organizzare il rimpatrio dei turisti presenti in Georgia, allo scoppio del conflitto.



Finalmente mi viene spiegato perché in Georgia, ma soprattutto in Armenia, i Monasteri sono distanti dalle città e dai villaggi; la spiegazione è semplice ed allo stesso tempo banale – il fedele deve poter “faticare” per raggiungere il Monastero (ecco spiegato perché molti ritengano più corretto raggiungerli a piedi).

Di norma, il Monastero non deve essere visibile dall’abitato, giusto per esaltare quel alone di mistero e di sacralità.

Mi portano l’esempio della Chiesa di Tsminda Sameba, negli anni 80 i russi costruirono una funivia che dall’abitato di Kazbegi, giungeva ai piedi della Chiesa; inutile dire che la funivia è stata poi rimossa dai georgiani.

Alla domanda se si sentono più asiatici che europei la risposta è diplomatica nonché ovvia – la comunanza all’Asia è forse un fatto meramente geografico, la lunga dominazione russa, la religione, il futuro (il possibile ingresso nella NATO, le relazioni sempre più strette con l’Unione Europea) li portano a guardare sempre di più verso ovest, piuttosto che a est.

Il tramonto regala una splendida vista sull’imponente monte Kazbek ...



Ultima nota su Kazbegi e l’area circostante; è una zona in forte espansione turistica – e non vi è alcuna difficoltà a trovare un alloggio economico.

Gli abitanti si sanno organizzare al meglio; questo è quello che ho trovato nella rete …. che dire, pratici!



La tappa di oggi:


panda

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« Reply #23 on: 24 September 2012, 13:06:57 PM »
Giovedì 14 Giugno 2012
Kazbegi (GEO) – Elista (RUS)
297 km.

Il molosso georgiano del padrone di casa che ha fatto la guardia alla mia moto. Anche lui, e le sue pulci, si sono guadagnati una dose di coccole extra!



Dopo aver fatto colazione con gli amici georgiani/lituani, alle 7 sono già per strada. Ben presto arrivo al confine georgiano; struttura moderna ed efficiente (siamo nei pressi del passo di Darial).



Vengo accolto con un largo sorriso, controlli rapidi, di routine, e vengo lasciato passare.

Dopo qualche chilometro, percorso nella terra di nessuno, arrivo al confine russo di Verkhniy Lars, trovo un cancello sbarrato dove non c’è nessuno a presidiarlo – mi avvicino e mi si gela il sangue!

Poco più in la intravedo infatti, i due motociclisti polacchi visti il pomeriggio precedente, fermi ai lati delle loro rispettive moto. Che ci fanno ancora qui? Ma allora non li hanno fatti passare?

Nel frattempo il cancello, evidentemente comandato a distanza si apre, entro con la moto, dopo un centinaio di metri mi fermo al primo gabbiotto (qui sorridono di meno) ed inizia il controllo dei documenti (buon segno…), il visto viene controllato e ricontrollato mille volte. Tutte le pagine del passaporto vengono contate, quasi ad accertarsi che non ne manchi qualcuna.

I polacchi, nel frattempo, sono spariti dalla mia vista – è evidente che hanno quindi passato la notte nei paraggi.

Il controllo doganale è effettuato da una giovane poliziotta che, una volta vista la mia nazionalità, continua a ripetere che l’Italia è bellissima – i controlli sono velocissimi, lei stessa si incarica di compilare il modulo per la moto.

Esco dal posto di frontiera e finalmente realizzo che il confine è proprio aperto!

La meta è raggiunta ed ora si torna a casa – non subito, ma da ora in poi considero la strada che percorrerò, come quella del ritorno.
Sono entrato in Russia, ma in realtà mi trovo nel mezzo dell’Ossezia del Nord (Repubblica autonoma della Russia); raggiungo facilmente la capitale Vladikavkaz e noto molte bandiere delle Repubblica, in luogo di quella russa.

Molte macchine hanno anche una targa diversa, riportante la sigla RSO (Respublika Severnaia Osetiya-Alaniya); è evidente che qui l’autonomia da Mosca è più sentita.

Proseguo lungo la M29, direzione di Beslan, e lo stomaco mi si contrae; sono infatti alla ricerca della scuola pubblica che nel settembre 2004 venne tenuta in ostaggio da parte di un gruppo di guerriglieri ceceni.

Un totale di 1127 tra bambini, insegnati e genitori trascorse tre lunghi giorni all’interno della scuola; 334 persone persero la vita (di questi, 186 bambini), oltre a 11 poliziotti e 31 sequestratori.

Trovare la scuola non è facile. Chiedo ripetutamente in giro; o non riesco a farmi comprendere o l’avvenimento è tanto triste che la gente preferisce non pensarci. Alla fine, trovo una signora di mezza età, sorridente – fino a quando non gli chiedo della scuola; allora si incupisce, abbassa la testa e mi indica la direzione da prendere.



La gioia per aver trovato il confine aperto ha lasciato il posto ad una profonda tristezza – entrare nella scuola e vedere le foto dei bambini appese al muro non è facile.



Definirla una strage è forse riduttivo; una mente malata non avrebbe mai potuto ordire un simile gesto.



L’attacco è stato infatti voluto, pianificato, e non da un singolo, ma da un gruppo – la scelta della scuola non è stata casuale, è servita per ampliare il messaggio, un messaggio di orrore e di dolore.



Correttamente le autorità locali hanno deciso di onorare il luogo, inglobandola struttura in un mausoleo di vetro.

E prevedendo di costruire, nei paraggi, una chiesa.

Il caldo è asfissiante, riprendo il mio percorso e faccio subito la conoscenza con la polizia russa.

Appostati dietro un albero, mi fermano e mi contestano di aver superato un’auto in un tratto di strada dove vige il divieto – a me non pare, ricordo di aver superato l’auto ma, appena visto il cartello, sono rientrato nella mia carreggiata. La fortuna è dalla mia parte, hanno infatti ripreso la scena con una telecamera – il tempo di riavvolgere il nastro e sono costretti a darmi ragione (naga 1 – polizia russa 0).

Passo vicino alla città di Nalchik, capitale della repubblica autonoma della Cabardino-Balcaria, lambisco la repubblica autonoma di Karacaj-Circassa e passo non distante dalla città di Stavropol, capitale della repubblica autonoma del Territorio di Stavropol. Non noto alcuna particolarità che distingua questi luoghi dalla Madre Russia; forse, la loro autonomia, è un fatto meramente amministrativo.

Di tanto in tanto incontro qualcuno che mi chiede da dove vengo e dove sono diretto; la prima diffidenza iniziale, si scioglie quasi subito con un sorriso.



La diffidenza russa è comunque proverbiale e credo abbiano grossi problemi correlati con la sicurezza.

Come al solito, in molte stazioni di servizio, l’erogazione del carburante avviene solo dopo aver pagato il dovuto all’omino di turno, asserragliato nella sua cassa (ΠACCA in russo, che a me fa tanto ridere…), protetto da sbarre di ferro e telecamera. La cosa mi da molta noia; calcolare quanti litri di benzina possano entrare nel serbatoio e quindi il prezzo da pagare non è sempre immediato, specie quando hai bisogno del resto.

Nel mio precedente viaggio in Russia, avevo memorizzato il gesto da compiere all'indirizzo dell’addetto nascosto nella ΠACCA, per poter fare prima il pieno e poi pagare – consiste nel passare ripetutamente la mano a pochi centimetri dalla testa (come a dire “pieno fino all’orlo”). Non sempre questo è tuttavia accettato e, in qualche occasione, sono stato costretto ad andare alla ricerca di un’altra stazione di servizio.

Anche i dispenser di bibite ghiacciate presenti nelle stazioni di servizio, e che si trovano all’esterno del gabbiotto, pare siano l’obiettivo prediletto dei ladri. Hanno infatti lo sportello chiuso e l’apertura avviene, con comando elettrico solo dall’interno, dopo aver pagato.

La strada è a tratti deserta, e costeggia lunghe distese di nulla …



Mano a mano che proseguo il viaggio, incontro persone dai tratti somatici orientali, sono infatti entrato nella Repubblica autonoma della Calmucchia, la cui capitale Elista la raggiungo nel pomeriggio.



I calmucchi sono un popolo di origine Mongola che vive nella Russia europea da molti anni, professano il buddismo, unico caso in tutta l’Europa.

Mi metto alla ricerca di un albergo, il primo che trovo è pressoché pieno, ma con un po’ di pazienza riuscirebbero a trovarmi una stanza; mi comunicano il prezzo: 125 euro!

Inizio a ridere a crepapelle, poi temendo di aver capito male (l’albergo non ne vale assolutamente) mi faccio ripetere il prezzo in Dollari, ma scopro di aver capito bene. Esco dalla hall ridendo come un matto.

Placco un tassista e per qualche rublo gli chiedo di accompagnarmi presso un altro albergo, che troviamo subito, per giunta vicino al centro città.

Strana città Elista, con tutte queste persone dai tratti somatici orientaleggianti. C’è anche qualche “russo originale”, non vedo tuttavia coppie miste e (guarda caso!) la polizia è … inequivocabilmente russa (forse Mosca li manda qui da altre regioni del Paese).

La città è piena di templi e templetti buddisti













Ma la statua di Lenin non manca mai …



La tappa di oggi:


panda

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« Reply #24 on: 24 September 2012, 13:07:26 PM »
Venerdì 15 Giugno 2012
Elista (RUS) – Volvograd (RUS)
297 km.

Tappa semplicissima quella di oggi; poco meno di 300 km. direzione nord, in modo di arrivare nel pomeriggio a Volvograd (ma io preferisco chiamarla Stalingrado) ed avere il tempo di visitarla con calma.

La strada è pressoché diritta, ottimo asfalto, profilo altimetrico quasi nullo – ma quello che colpisce sono le enorme distese … proprio adatte a farci una battaglia!



Arrivo a Stalingrado nel primo pomeriggio, trovo subito l’albergo, doccia, mi cambio e mi fiondo al Museo della battaglia di Stalingrado – veramente ben fatto, peccato che buona parte delle didascalie non siano tradotte in inglese.



La particolarità del museo è il modo con cui è stato strutturato, il visitatore – seguendo le indicazioni – ha modo di poter ripercorrere le varie fasi delle battaglie che si protrassero dal 17 luglio 1942 al 2 febbraio 1943.











Il museo ha anche una specie di panoramio che illustra, a 360°, il campo di battaglia.



Fuori dal museo, il fiume Volga, e che le truppe tedesche hanno invano tentato di superare.



La tappa di oggi:


panda

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« Reply #25 on: 24 September 2012, 13:07:54 PM »
Sabato 16 Giugno 2012
Volvograd (RUS) – Berdianski (UA)
757 km.

Originariamente, il piano prevedeva di fermarmi ancora una notte in Russia, a nord di  Rostov-na-Donu e mettermi alla ricerca dei luoghi dove a combattuto la Divisione Pasubio nel corso della II^ Guerra Mondiale.

Nei mesi precedenti la mia partenza, avevo contattato qualche associazione combattentistica che, di tanto, in tanto si reca in quei luoghi per onorare la memoria dei nostri caduti; purtroppo la ricerca e la visita dei luoghi, quali quelli di Bogucar, Monastyrchina, Dubrava, Arbusov, è possibile con viaggi organizzati e con la guida del posto, autorizzata dalle autorità di Mosca.

La temperatura è finalmente gradevole, ed è un piacere viaggiare. Ad una stazione di servizio incontro tre motociclisti tedeschi, di ritorno dalla Siberia e diretti a casa.



Due di loro sono alla guida di altrettante monocilindriche BMW, che hanno acquistato – per l’occasione – prima di partire. Quella a sinistra, ha grossi problemi di raffreddamento perché si è imbattuta in un tratto di strada in rifacimento, ricoperto di catrame liquido, che ha ricoperto il radiatore.

Percorriamo un tratto di strada tutti assieme e, immancabilmente, veniamo fermati dalla polizia (quattro motociclisti europei fanno gola); a me viene contestato il superamento del limite di velocità – purtroppo per loro la prova fotografica che mi fanno vedere non è tuttavia quella giusta, ritrae infatti uno dei tedeschi.

Rapida consultazione e la multa non viene elevata neanche al crucco (naga 2 – polizia russa 0!).

L’occasione mi permette però di visitare l’interno del posto di polizia (GAI), la control room, così viene infatti chiamata dal poliziotto che me la illustra. E’ piena di monitor collegati ad altrettante telecamere – ne hanno alcune dedicate alle moto; riprendono infatti il passaggio delle stesse dal posteriore, così da poter inquadrare la targa. Queste telecamere sono inoltre dotate di radar che misura la velocità; la pistola laser, infatti, non è sempre funzionale quando si tratta di colpire una moto, a causa della sua ridotta sagoma, rispetto ad una auto.

Il panorama non offre granché, e proseguo la marcia direzione ovest su di un ottimo asfalto, direzione l’Ucraina.



Alla frontiera i controlli sono rapidi, specie nella parte ucraina, dove un gentile poliziotto mi prende in consegna per accelerare il disbrigo delle pratiche burocratiche (comunque ridotte all’osso).

E’ sempre piacevole entrare in Ucraina provenienti dalla Russia; gli ucraini paiono più civili e moderni, sorridono di più, i cartelli stradali non sono solo in cirillico, vi è facilità ovunque di cambiare moneta in valuta locale e fare rifornimento di carburante non è una questione di stato.

Ora che il GPS riconosce la cartografia digitalizzata, si sbizzarrisce e mi manda dove vuole lui.
Ovviamente non lo bado, se non seguire quello che dice la cartina e la bussola.

Punto verso il Mare d’Azov, che poi è la parte superiore del Mar Nero e mi fermo a Berdianski, famosa – dicono – per i suoi stabilimenti termali.





E’ pieno di russi che si abbrustoliscono al sole, l’aspetto della città è comunque sottotono, sporca, disordinata e mi da l’idea di una città dove si possono trascorrere vacanze dal sapore “fantozziano”





Molte le bancarelle che vendono pesce essiccato e non …





... ed assisto ad un bel tramonto ...



Anche questa notte il Lenin veglierà su di me ...



La tappa di oggi:


panda

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« Reply #26 on: 24 September 2012, 13:08:19 PM »
Domenica 17 Giugno 2012
Berdianski (UA) – Yalta (UA)
455 km.

Partenza all’alba, punto prima ad ovest e poi, all’altezza di Melitopol, verso sud, direzione la Crimea.

E’ domenica, c’è molto traffico, forse vacanzieri – tra cui tanti russi, riconoscibili dalla loro guida prepotente. Le stazioni di servizio sono funzionali e simili a quelle occidentali, se non migliori; in una di queste ho trovato addirittura cappuccino e brioches alla crema!

I prezzi sono inoltre irrisori, se paragonati all’occidente. Come già detto, la gente è inoltre educata, sorridente, gentile e molti parlano inglese, o almeno si sforzano.

Arrivo a Yalta nel primo pomeriggio e rivedo il Mar Nero (e pensare che la settimana precedente ero giusto dall’altra parte!)





Città turistica, estremamente pulita e ben curata, piena di bancarelle





bei palazzi



ed accessori





Queste ragazze pubblicizzavano, credo, uno spettacolo teatrale e sono rimaste sotto il sole cocente sino alla sera.



Lenin non mi abbandona mai …



La tappa di oggi:


panda

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« Reply #27 on: 24 September 2012, 13:08:47 PM »
Lunedì 18 Giugno 2012
Yalta (UA) – Odessa (UA)
640 km.

Tappa di oggi veloce, per uscire dalla Crimea e dirigermi ad Odessa. Asfalto ottimo, splendida vista sul Mar Nero e sul promontorio alla mia destra.



Incontro molti più motociclisti, tutti russi ma tutti antipatici:angry:

Se li incroci per strada no salutano, alle stazioni di rifornimento si girano dall’altra parte per non correre il rischio di incrociare lo sguardo.

Mi fermo presso un albergo – ottima scelta …



… se non fosse per l’ambiente kitsch ...





Più che un albergo, pare un villaggio vacanze buono per tutte le tasche, sono infatti disponibili mini alloggi ...



... oltreché anguste celle vista mare …



La tappa di oggi:


panda

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« Reply #28 on: 24 September 2012, 13:10:24 PM »
Martedì 19 Giugno 2012
Odessa (UA) – periferia di Bucarest (ROM)
579 km.

Appena sveglio decido di cambiare itinerario; secondo quanto pianificato, oggi avrei dovuto continuare a costeggiare il Mar Nero e raggiungere Costanza, in Romania.

Voglio invece percorrere la strada Transfargarasan, nei Carpazi rumeni, ma – non potendola raggiungere oggi – cercherò di avvicinarmi più possibile.

Esco rapidamente da Odessa, puntando verso ovest lungo la E87. Dopo aver superato il fiume Dnister, si percorre un tratto di strada in territorio Moldavo, ma sotto controllo dell’Ucraina.

All’ingresso del tratto (non più di 10 km.) viene consegnato un foglietto con indicata data e ora di ingresso; lo stesso viene poi restituito in uscita. Se il tempo trascorso in terra moldava, rientra in un certo lasso di tempo, non procedono a ulteriori controlli, altrimenti non saprei a quali noie si potrebbe incorrere.



La strada percorsa è in mezzo al nulla.



Mi sto annoiando e, quindi, per entrare in Romania, scelgo comunque la strada più complicata, decido di passare per la Moldavia e la sua sciocca dogana.

Le procedure sono infatti lunghe, sebbene dichiari subito di voler entrare in Romania e, quindi, sostare in Moldavia il meno possibile.

Devo inoltre pagare una ridicola tassa di ingresso (18 Leu = 1 euro!!!!!), non accettano euro, tantomeno la carta di credito e questo comporta cambiare i soldi ma non c’è comunque uno sportello bancario. Trovo per fortuna un ragazzo che ha lavorato in Italia e che mi cambia 5 euro. Oltre mezz’ora persa!

Il tratto da percorrere in terra moldava è fortunatamente breve (meno di 50 km.) ma in compenso le buche trovate sono tante e variegate.

Al confine, in uscita, riescono anche qui a far perdere tempo alla gente – un bulgaro si spazientisce e, per punizione, viene rimandato in fondo alla fila. A me che sto zitto e buono, viene per fortuna riservato un trattamento di favore; posso scavalcare la fila delle auto in sosta e le procedure per uscire dal Paese si chiudono in 10 minuti.

Entrato in Romania, mi dirigo a sud verso Galati e poi Slobozia dove intercetto l’autostrada, e finalmente riassaporo la velocità di 130 km/h.

Proseguo verso est, direzione Bucarest, che ho già visitato in passato e quindi decido di cortocircuitare sfruttando la circonvallazione sud. La circonvallazione è in pieno rifacimento, l’attuale strada a doppio senso di circolazione, forse diventerà una superstrada – di fatto, ora mi si presenta con una fila interminabile di TIR (lunga oltre 4 chilometri) che io, diligentemente, supero.

I camionisti mi agevolano nell’operazione, allargandosi alla loro destra, mentre invece gli automobilisti vengono stretti e costretti a frenate da brivido. L’unico rischio, è costituito dagli innumerevoli venditori ambulanti che sostano in mezzo alla strada, per vendere qualcosa ai camionisti fermi in fila.

Si è fatto tardi e sono distrutto dal caldo e dalla tensione accumulata dalla guida, mi fermo al primo motel che trovo per strada, poco dopo Bucarest.

La tappa di oggi:


panda

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« Reply #29 on: 24 September 2012, 13:11:09 PM »
Mercoledì 20 Giugno 2012
periferia di Bucarest (ROM) – Kiskunfélegyháza (HUN)
738 km.

La mattina, all’atto di pagare la stanza, l’albergatore riesce a farmi girare le balle; il conto mi pare infatti stranamente salato (dovrebbe essere pari ad un pernotto più una cena).

Controllo per bene e mi ritrovo addebitate due cene, chiedo quindi di vedere la firma sul conto, una delle due non è palesemente la mia, ma lui che ha fatto la notte – non sapendo a chi addebitarla e dovendo comunque far quadrare i conti – pensa bene di farla pagare a me. Capisce che mi sto arrabbiando e poi corregge il conto.

Tappa noiosa quella di ieri, mi potrò rifare oggi percorrendo la Transfargarasan, e transitare dunque per i Carpazi meridionali.

Non sarebbe corretto dire che la Transfargarasan è famosa, solo perché teatro di una puntata di Top Gear, di fatto la trasmissione inglese le ha dato maggiore visibilità, almeno a noi “occidentali” che da queste parti non ci passiamo spesso.

Niente da paragonare tuttavia, con le strade alpine austriache; scordatevi gli asfalti da biliardo del Großglockner, i posti ristoro della Nockalmstrasse e i prati fioriti della Silvretta Hochalpenstrasse, la Transfargarasan è proprio una strada rumena, paragonabile alla sua famosa zuppa acida (ciorbă) – "gnorante" al punto giusto e, per questo, non meno affascinate e gradevolissima da percorrere.

Sono salito da sud, quindi lato diga per intenderci – la parte con l’asfalto più rovinato; credo che percorrendola da nord a sud sia però più pagante. Qui siamo sulla diga ...





Il “pulciuoso” di turno difende strenuamente il tozzo di pane guadagnato dopo una notte passata di guardia!



La giornata è fresca e splendente ...



Qui si sale ancora dal lato sud



La neve si scioglie e i rigagnoli sono e vere e proprie cascate di acqua



Raggiunta quasi la cima, trovo ad aspettarmi – maestoso – questo splendido cavallo bianco …



L’asfalto non è perfetto, ma è privo di grosse buche e di pietre. Ad un certo punto sento una botta sull’anteriore; mi arrabbio con me stesso per non aver visto la pietra che evidentemente era in mezzo la strada. Poi mi viene un atroce dubbio, guardo nello specchietto e … ma quella non era una pietra!!!!!!!!!!!!

Era la telecamera montata sul davanti che staccatasi è andata a finire sotto la ruota anteriore. Riesco a recuperare la SD che, per fortuna, è integra.



L’inverno deve essere stato duro …



Una volta arrivato in cima, mi delizio con un salsicciotto annegato da patate fritte …



Qui la vista sulla strada che scende a valle





Scendendo trovo un asfalto migliore, come pure la segnaletica orizzontale. Ho incontrato parecchi motociclisti, polacchi e cechi ma nessun italiano.

Riprendo il viaggio, direzione Ungheria; il caldo e sempre presente ed asfissiante come pure i numerosissimi TIR. Questi hanno il divieto di sorpasso e formano lunghissime colonne, difficili e pericolose da sorpassare, specie per me che, dirigendomi ad ovest, ho il sole in faccia.

Mi fermo spessissimo per rinfrescarmi e bere litri di bevande al the. Anche i cani sono distrutti dal caldo...



Supero il confine con l’Ungheria, una formalità e mi metto alla ricerca di un albergo, affidandomi ai consigli del GPS.

Ne trovo uno in mezzo alla campagna, sono le 7 di sera e ci sono ancora 32°, chiedo espressamente una camera con aria condizionata – la ragazza alla reception mi dice che non ci sono problemi ma devo raggiungere le stanze al terzo piano.

L’ascensore non esiste, ma mi sobbarco felicemente la scarpinata di portare i bagagli al terzo piano, confidando in una stanza fresca ed una sana doccia. In camera ci saranno 50°, e manca il telecomando dell’aria condizionata che ovviamente non mi è stato consegnato:mad:, torno giù (e già mi girano le balle), mi faccio dare il telecomando, torno su (sempre a piedi e sempre con la tuta addosso) e, ovviamente, scopro che l’aria condizionata non funziona:mad::mad:

Torno allora nuovamente giù (e la rotazione delle balle aumenta), mi assegnano una nuova camera, prendo la chiave, torno su, sposto i bagagli, entro nella nuova stanza (questa volta con il telecomando in mano) ma, anche qui, l’aria condizionata non funziona:mad::mad::mad:

Aritorno giù, spinto dalla propulsione delle mie balle che girano vorticosamente; niente da fare le stanze con aria condizionata sono finite! Game over. Decido di cambiare albergo ma i borsoni e il casco sono rimasti al terzo piano. Ari-aritorno su, prendo i bagagli, e ricarico la moto con la ragazza che si sorprende del fatto che abbia deciso di andarmene; mi sorprendo più io del fatto che abbia deciso di non mangiarmela viva! 
 
Sfinito mi rimetto in moto, interrogo nuovamente il GPS alla ricerca di un nuovo albergo; il prossimo che trovo è pieno, quello successivo non ha l’aria condizionata (e ora la voglio a tutti i costi!), poi, come d’incanto, ne trovo uno nuovo di pacca, economicissimo, pulitissimo, gestito da un ungherese emigrato per anni in Germania e che parla pure inglese. Una favola!

Unica pecca, il nome impronunciabile del paese dove si trova: Kiskunfélegyháza!

La tappa di oggi: